lunedì 4 febbraio 2008

Super Bowl XLII: Ketchup o maionese?

Se i Cetomedio nella copertina del loro ragguardevole disco (quello qua sotto)


ponevano George W. Bush e Osama bin Laden come contendenti in quella che dalle mie parti si direbbe una lotta del rotto contro lo strappato, questo Super Bowl si preannunciava per me come una bieca trasposizione sportiva di detta lotta: da una parte Tom "sempre bravo e bello da morire" Brady, dall'altra Eli "Mio fratello è figlio unico" Manning

(provvedete pure da soli ad associare le qualifiche alle foto)

ovvero 2/5 delle entità che cancellerei dalla NFL nonchè da questa galassia (le altre, lo dico a beneficio dei più curiosi, sono i Buccaneers, Peyton "Priceless pep talk" Manning e Chad "Braccio bleso" Pennington).


Rassegnatomi all'idea che uno dei due sarebbe stato vincitore assieme alla relativa squadra, prendo posizione davanti al PC e mi
sintonizzo sulla partita (laddove "sintonizzo" è un simpatico eufemismo per atti perseguibili in sede civile e penale che mi guarderò bene dal descrivere qui); dopo l'inno, cantato da tale Jordin Sparks (che una provvidenziale sovraimpressione mi informa essere stata vincitrice di "American Idol" prima che inizi a perplimermi sulla sua identità) e una buffa storiella raccontata dal Matt Hasselbeck (un fan gli scrive per avere un autografo, ma non quello del QB di Seattle, come sarebbe logico aspettarsi, bensì quello di Brett Favre: poichè il Packer non ne firma, lui non avrebbe mica potuto, ecco, insomma...mettere una buona parola a tale scopo ?), arriviamo all'ingresso in campo.

Il #12 dei Patriots è al centro dell'attenzione delle telecamere e perfettamente a suo agio: sorride, ammicca, saluta, dopotutto è la stella, con già tre titoli vinti, di una franchigia ancora imbattuta in questa stagione, con in tribuna una modella come fidanzata e in banca un conto di quelli con cui si può chiedere a un concessionario della Bentley di illustrare i vantaggi di una Azure rispetto ad un treno
che potrei comunque permettermi. Il #10 dei Giants viene al contrario colto dalla Fox mentre si lecca le mani con una espressione che non trasuda nè grande fascino nè grande intelligenza, questo, oltretutto, dopo che il buon Aikman lo ha dipinto più o meno come una specie di disadattato mentale del quale è impossibile prevedere le reazioni alle difficoltà. Se tanto mi da tanto, qui prevedo 126-0 per New England, è il mio primo pensiero.

Parte New York: un drive lunghissimo (9:59, record per un Super Bowl) in cui Jacobs & Bradshaw corrono benino incassando botte da orbi (con il secondo che scambia con Rodney Harrison, oltre che
duri giudizi sulle rispettive madri, anche qualche manata) mentre Manning se la cava sempre al terzo down. Una volta rischiati sack e intercetti, tocca infine al piede di Lawrence Tynes, lo scozzese più odiato del Wisconsin, sbloccare il risultato, grazie ad un calcio da 32 yards. La cosa che mi è balzata agli occhi, nel frattempo, è come New England abbia basato fin qui la propria strategia difensiva sul blitz centrale nel tentativo di imporre una pressione insostenibile per Eli, salvo dimenticarsi ogni tanto delle tracce dei ricevitori, i quali comunque tra drop e buoni raddoppi subiti non sembrano proprio irresistibili.

Maroney piazza subito un kick off return da 43 yds, quindi arriva il momento di un Brady un po' meno
splendido del solito causa caviglia: il già citato #39 dei Patriots provvede a compensare con le sue corse i passaggi a vuoto del quarterback, al quale arriva un inaspettato omaggio dal linebacker Antonio Pierce, autore di una bella pass interference che porta la palla ad una sola yard dalla end zone. Finisce un quarto, ma sembra chiaro che siamo a un soffio dal sorpasso: infatti il secondo tentativo di corsa del solito Maroney (più extra point) porta il punteggio sul 7-3 al principio del second quarter.

Nonostante Gostkowski abbia mandato il suo kick off fuori dal campo consentendo ai Giants di partire dalle proprie 40, nello stesso drive i Manning Boys riescono prima
a beccarsi un delay of game quindi un intercetto nato da un drop sfigatissimo del rookie Steve Smith a favore di Ellis Hobbs. Diventa chiaro, da questo momento, che saranno le difese a fare la parte del leone. Negli undici minuti e cinquantatre secondi rimanenti del primo tempo non segna più nessuno, in compenso si vede di tutto: Eli viene sackato al primo down e, con la gentile collaborazione di Bradshaw, causa un fumble al secondo; Tom Brady viene steso con la palla in mano per due azioni consecutive (perpetratori Kavika Mitchell e Justin Tuck); la premiata ditta Manning & Bradshaw infila nella stessa azione sack subito, fumble, fumble recuperato (da Steve Smith) e gran finale con illegal bat forward del #44, ovvero un tentativo truffaldino di spingere la palla persa avanti per guadagnare yards; c'è spazio anche per un ulteriore sack su Brady, con Tuck che allenta un terrificante schiaffo sulla mano del quarterback forzando il turnover recuperato da Umenyiora.

Dopo due quarti sono sempre avanti i Patriots, ma probabilmente in pochi, e mi escludo senza alcun problema, avrebbero immaginato sviluppi simili: constatato che all'halftime show non avrebbero suonato i Lillingtons, attendo la ripresa sghignazzando al pensiero del cazziatone di Belichick ai suoi.

Si riparte, New England azzecca qualche corsa e un challenge per illegal formation su punt, ma Strahan manda al tappeto
per la quarta volta Brady, che ora, chissà perchè, ride molto meno: anche la decantata linea offensiva inizia a fare brutti scherzi raccogliendo un paio di false start. Alza la testa New York: Manning entra in serie positiva e chiude ogni passaggio del drive fino al touchdown di Tyree mandando avanti i Giants 10-7. In tribuna, oltre alle esultanze gallianiche del fratello Peyton, si intravede il lungodegente Shockey rosicare sotto sotto per la buona prova del vice Kevin Boss. Un drive per squadra poi il bello addormentato si sveglia: Welker, Moss, Faulk sembrano cambiare passo, la difesa dei Giants pare perdere la bussola e giunge, con soli 2:45 rimasti sul cronomentro, la ricezione del #81 per il 14-10.

NY torna in attacco e benchè costretta come all'inizio a guadagnarsi le proprie speranze a forza di terzi down è ormai inarrestabile. Manning su un 3&5, con Thomas (un omino alto 1,88 per 122 chili) di aggrappato che cerca di tirarlo giù, riesce a liberarsi servendo un pass maddeniano da 32 yds a Tyree; quando restano ormai 39 secondi è il momento di Plexico Burress, fin qui miseramente fermo ad una ricezione. Il WR con il 17 parte dalla sinistra dello schieramento, si libera di Hobbs e mette sul tabellone i sei punti che con la trasformazione fissano lo score sul 17-14. C'è ancora tempo per vedere il quinto sack subito da Brady, altri tre incompleti ed una invasione di campo anticipata (di ben un secondo) ricacciata indietro.

La maionese
ha vinto il quarantaduesimo Super Bowl, e al posto della retorica degli Invincibili toccherà sorbirsi quella della Cenerentola: l'unica consolazione è che almeno Eli non gioca a Tampa.













6 commenti:

aLesAN ha detto...

Buon recap. "Nio" fratello ora sarà ancora figlio unico? :D

aLesAN ha detto...

Ovviamente intendevo "mio" fratello, non nio... :D

therussianrocket ha detto...

ahahaha grande zabri. ottime citazioni, piu che altro hanno fatto si che leggessi il mio primo articolo di nfl, non capendoci una fava del resto :)

azazel ha detto...

ma solo io ho dei problemi a vedere le foto? :-(
comunque ottimo ;-)

therussianrocket ha detto...

all'inizio non si vedevano le foto ora mi pare sia tutto apposto.

aLesAN ha detto...

Perché cancelleresti i Buccaneers tutti?