venerdì 23 maggio 2008

Spoiler Inside

E’ bello pensare, quando si è nel vivo della post season ma anche della sessione d’esami di turno, di poter mettere un attimo da parte qualche inutile partita per concentrarsi meglio sullo studio, perché, diciamocelo, frega per caso a qualcuno della finale di conference Nhl o dei Mondiali che si giocano in contemporanea in Canada? NO.

E allora che problemi ci sono a spostare idealmente nel tempo gli eventi, come se nulla fosse successo, come se nessuna partita fosse stata ancora giocata? L’ha fatto Michael J. Fox in ritorno al futuro, non lo posso fare io? Per carità, da come è ridotto probabilmente devo dedurre che ha anche pagato per questo, ma cercherò di prendere le mie precauzioni.

E di precauzioni ne avevo prese fin troppe, limitando l’uso di qualsiasi elettrodomestico circolasse per la casa, aspirapolvere compresa (tanto che la settimana prossima i miei coinquilini mi hanno costretto ad un double header: prima pulisco il pavimento, poi lavo il bagno), finché un bel giorno un nano malefico ha deciso di rovinare tutto anticipando il risultato della finale mondiale con un inguardabile servizio direttamente dalla Piazza Rossa, dedicato ad un’altra finale, quella della Champions League. Enrico Varriale: non so dove abiti ma so per chi lavori (a sinistra l’arnese con cui andrò a cercare il giornalista negli studi rai).

Al di là di questo singolo episodio, devo ammettere che negli ultimi tempi sono un po’ ossessionato dagli spoiler: qualsiasi mezza frase o gesto inconsulto mi fanno presagire l’andamento delle partite, tanto che preferisco quasi conoscere l’esito dell’incontro quando sono alla visione, almeno me ne sto più tranquillo e senza la smania del risultato ho un maggior occhio di riguardo per l’aspetto tecnico del gioco. A patto che, in uno sport in cui il disco (che poi si chiamerebbe puck) è una scusa che usano i giocatori per poter usare le mazze per picchiarsi tra di loro, si possa parlare di tecnica.

Detto questo, mi pare doveroso avvisare tutti che domani inizierà la finale Nhl tra i Pittsburgh Penguins e i Detroit Red Wings, la finale sicuramente tra le due migliori squadre della Lega quest’anno. Se vi interessano le competizioni in cui si lotta per qualcosa, è un appuntamento assolutamente da non perdere. Dalla regia mi suggeriscono che sarà una finale “da far tremare i polsi”, ma se dicessi questo mi toccherebbe scomodare Michael J. Fox per la seconda volta.

Non provo particolare simpatia per nessuno dei due team, andrei con Pittsburgh se non fosse che il buon Malkin è affiancato da Lebron James versione Nhl, il crybaby Sidney Crosby, sull’altro fronte abbiamo invece la squadra che più ho odiato sul finire degli anni ’90 quando cominciai a seguire l’hockey e l’attuale presenza di alcuni giocatori che indubbiamente mi piacciono (vedi Franzen e Samuelsson) non credo servirà a far venir meno questa antipatia. E’ per queste ragioni e, for the love of the game, che spero in una serie bella ed equilibrata, con possibile finale alla settima partita, tenendo presente che i Red Wings hanno i favori del pronostico: più esperienza, più profondità nel roster, un PP super e una retroguardia con il miglior difensore al mondo, Niklas Lidstrom ma pur sempre con il peggior goalie ad aver vinto una Stanley Cup.

For the love of the game, dicevo. Si, perché in questi playoff, comunque molto appassionanti, è mancato quel colpo a sorpresa, quella serie da lasciar tutti a bocca aperta perché iniziata in un modo e finita in un altro, tutte cose che hanno fatto parte della storia recente di questo sport.
C’è stata l'ennesima rivincita tra due storiche rivali come Detroit e Colorado, dopo che nel ’97 era successo di tutto, quando una normale gara di fine regular season tra due squadre praticamente già qualificate si trasformò in una carneficina in conseguenza del ritorno di Claude Lemieux alla Joe Louis Arena, un centinaio di giorni dopo che l’ala canadese nella serie playoff dell'anno precedente, il 1996, fracassò la faccia di Kris Draper contro la balaustra con una carica da dietro che lasciava la vaga sensazione della premeditazione (la prima di questo filmato). Lo avevano chiamato “Blood game”, ed effettivamente di botte e sangue se ne erano visti davvero sul ghiaccio, quest’anno invece la serie è finita 4-0 per i Red Wings tra gli sbadigli.

Le medesime osservazioni, anche se ci è divertiti sicuramente di più, si possono fare per gli altri incontri: la rimonta non riuscita degli Sharks ai danni degli Stars (che almeno ci ha regalato la parata dell'anno), il mancato upset dei Boston Bruins contro Montreal, che resta comunque la miglior serie di questi playoff a mio avviso, il cammino senza intoppi dei Penguins, mai apparsi in seria difficoltà in tutto l'arco dei playoff e la finale dell'ovest chiusa in sei gare quando Dallas aveva il fattore campo per portare la serie alla settima partita. Insomma, abbiamo visto di meglio. E non mi riferisco certo al francesino che ha vinto la gara di 125 la scorsa domenica.

Sperando che la finale, sportivamente parlando, ci restituisca ciò che i primi turni ci hanno tolto, vi invito (anche se le ipotesi che ciò accada sono remote, visto che non sono direttamente coinvolto in queste finali) a non inviare nessun sms al sottoscritto. Tanto questa volta ci penserà qualcosa/qualcun altro a rovinare tutto: un link con a fianco i risultati, un Pera qualunque, una bottomline di qualche canale a cui non ho attaccato il nastro isolante, Sbirulino, una e-mail dalla newsletter di nhl.com a cui dimentico sempre di essere iscritto o più semplicemente Micheal J. Fox. Se ciò dovesse succedere, lo pregherò di farmi tornare indietro nel tempo. Ma stavolta guido io.

mercoledì 21 maggio 2008

MotoGP - Round #5

Arriviamo tardi, tardissimo, per commentare quanto accaduto nel GP di Le Mans, ma va sottolineato che non ci sarebbe stato possibile dare un giudizio completo su una corsa che non era ancora terminata. Marco Melandri ha da poco tagliato il traguardo, quindi ora che ci siamo tutti è giusto dare spazio ai nostri voti anche se inutile prendersela col tifoso di Brett Favre, la Ducati è in difficoltà per cui giusto dare un giudizio alla moto e non al solo incolpevole pilota.


La domenica che consacra l'Inter campione d'Italia, Nadal il miglior terraiolo mai visto, i Boston Celtics squadra da battere ad est della Nba, anche la Moto GP rilancia vecchie glorie e ripropone un Valentino Rossi versione campionissimo ed una Yamaha semplicemente straordinaria che piazza ben tre-dueruote-tre sul podio.


Inutile rincorrere voti particolari, chi guida bene vola in alto chi guida male in basso, ma domenica non c'è stato un pilota davvero in grado di colpire in modo negativo lo spettatore. Si è però riavuto il Valentino di un tempo anche se la stampa nostrana si guarderà bene dal dire e sottolineare la completezza della moto e del rapporto Yamaha-Bridgestone (ma la moto va fortissimo anche con le Michelin comunque) e sarà sempre e solo lui il divino super eroe che dai malvagi ci salva. Gli altri? Tutto culo. Ma non saremo noi i primi a parlare troppo del valore della moto targata Fiat #46 o delle gomme, non lo abbiamo mai fatto, non lo faremo. Il remix MotoGP, una scusa per parlare male di tutti, comincia.


Rossi – voto 10

Scordatevi i tempi in cui anche Hayden gli stava davanti di tanto in tanto. Valentnik è tornato e purtroppo si porta dietro ancora tutta la schiera di imbecilli che inscenano pagliacciate ad ogni vittoria e suoi orrendi soprannomi. Bene ma non benissimo. Se avete visto Rossi nei suoi momenti migliori non faticherete ad immaginare la sua corsa di domenica: eccellente, pulita, rabbiosa, veloce. Una parola: inarrestabile.


Lorenzo – voto 10

Il futuro non abita in Italia, e con le nuove leggi sull'immigrazione e le liti a distanza col governo Zapatero forse non lo vedremo correre al Mugello e a Misano dove avremo una gara con soli italiani. Per l'occasione vedremo correre di nuovo Cadalora, Agostini e Reggiani. Pronta una moto anche per Guido Meda alla quale saboteremo i freni. Se possibile lo spagnolo fa anche meglio del compagno di squadra, solo non vince, ma vederlo rimontare in quel modo, chiudere secondo, e scendere aiutato dai meccanici portandosi subito le stampelle sotto le ascelle per restare in piedi è commovente. Un fenomeno assoluto, in più ama la gnocca, il che è sempre un punto a favore.


Ducati – voto 4

Ingiusto giudicare i piloti se la moto va così, ed è con le lacrime che bocciamo il mito di Borgo Panigale. Vedere il Ducatone che rompe in rettilineo quando dovrebbe spazzare via gli avversari è come un maratoneta che casca a 5 metri dall'arrivo e viene squalificato perché sorretto da un giudice o come una squadra che prepara il biscotto per vincere lo scudetto all'ultima di campionato e perde 4-2 contro un avversario che fa finta di giocare. Impossibile, si dirà, eppure capita.


Nadal – voto 10

In una delle giornate più intense dell'anno, tra una dormita e l'altra, ci accorgiamo che il tamarro da Maiorca è ancora imbattibile sulla terra rossa. Il futuro non abita in Italia, magari in questo caso nemmeno in Spagna se il ragazzo non azzeccherà almeno uno slam fuori dal suo habitat, intanto però lo zoticone urlatore rimonta due volte il solito Federe versione “ho paura del chico” e lo manda a casa a mani vuote. Quest'anno il numero 1 ha vinto solo l'ATP di Estoril, forse il futuro non abita nemmeno più in Svizzera.


Edwards – voto 10

E' arrivato terzo, si è messo dietro il culo Pedrosa, come fai a non dargli un voto eccezionale? E' la prova che la Yamaha si merita a sua volta un 10 e lode e che sembra aver messo una certa distanza tra sé e le concorrenti. Se anche Edwards è da podio grazie a velocità e quel che rimane di un talento mai davvero espresso a fondo in Moto GP allora ci siamo, il mondiale potrebbe scrivere la parola fine molto presto. Certo, non grazie a Edwards, ma che importa?


Pedrosa – voto 8

Il folletto spagnolo si sbatte come un pazzo, corre benissimo, ma non tiene l'assedio di Lorenzo ed Edwards e si deve arrendere e scendere dal podio. Secondo a tre punti da Rossi e alla pari di Lorenzo, ma ora arrivano piste che piacciono tantissimo al Patacca... o Pedrosa dimostra una compiuta maturità o tra quattro gare sarà stato seminato dal #46 e a luglio il campionato sarà virtualmente finito come ai vecchi tempi. Il bello ha da veni'!


Allen – voto 4

Quello visto contro i Cavs che sbagliava tiri anche con il difensore più vicino a tre o quattro metri non poteva essere lui, quindi era certamente lui alla guida di qualche moto arrivata nelle retrovie. In ogni caso una figuraccia, meglio se torna al basket e non solo come comparsa.


Dovizioso – voto 8

Il ragazzino terribile con la moto in affitto continua a stupire e pedalare. Se sei incerto tieni aperto sembra il suo motto ed il sesto posto è di nuovo un ottimo risultato per il ragazzo che ci lascia sperare che, forse, una parte del futuro ha passaporto italiano. Aspettiamo il 2009, saremo più vecchi, ma lui avrà una moto davvero valida ed Hayden sarà forse tornato alla AMA SBK.


Ibrahimovic – voto 10

Il calciatore dal passaporto più assurdo della storia timbra lo scudetto dell'Inter, ma questo non ci interessa... dopo le pugnette di Meda sopportare anche quelle del nipote dell'avvocato che esce con ex carabinieri ormai dediti alle orge sarebbe stato troppo, tanto più che, come il Meda, pure lui avrebbe dovuto festeggiare la vittoria di qualcun altro. Fortuna che il suo ex amico svedese prende la mira un paio di volte e fa centro le altre due salvandoci dal supplizio di un Lapo versione gay pride. Da notare le lacrime di Stankovic sotto la curva dopo il primo gol... come giocare tre quarti di campionato da merda e vincere il titolo. Poi ci si chiede perché piange... è gioia incontenibile, Melandri non ha tutto 'sto culo.


Melandri – voto 4

Ok, la moto va male, ma lui va piano. E tifa Packers. E non ha il culo di Stankovic.


Hayden – voto 4

Ormai una comparsa, sta dietro anche a Capirossi, solo che lui guida una Honda ufficiale.


Sconosciuto giocatore della Roma – voto 3

Ci manda una mail in redazione per lamentarsi degli arbitri. Una volta a farlo erano gli interisti che si sentivano rispondere: piangina, rosicone, merdone, perdente. Sette lettere orizzontale: rosicone. D-E-R-O-S-S-I. Ci sta, ed anche Bartezzaghi lo abbiamo sistemato.


Vermeulen – voto 7

Non è Scarlet Johansson ma nemmeno Rita Dalla Chiesa. Ha qualità nascoste pur senza eccellere nel paradiso delle bellezze e porta benissimo la moto con lo sponsor migliore del circus. Arriva dietro agli inarrivabili, è il primo dei normali, gli allestiscono un podio a parte dove poter stappare una bottiglia di quello buono e sbronzarsi come un Bukowski qualsiasi. Quanto alle forniture dello sponsor non ci è dato sapere come vengano utilizzate. Forse le mangia, io almeno avevo un amico che faceva così.


Il campionato – voto 9

Per ora molto esaltante e combattuto anche se ha perso uno dei suoi protagonisti più attesi. Come l'europeo in arrivo, le Olimpiadi di agosto, le finali NHL e i playoff MBA si tratta però pur sempre di off season. Ce la faremo passare.


Guida Meda – voto 0 sulla fiducia

Sentire Dan Petesron oggi ci fa temere che tra trent'anni questo potrebbe essere ancor in giro ed essere al versione Mediana del coach. Meglio la Terza Guerra Mondiale.

sabato 10 maggio 2008

Hard fouls, Crybabies ed Oklahoma City

Un paio d’anni fa scrissi un editoriale per Play.it, che aveva quale tema principale la differenza tra il basket di cui mi ero appassionato, quello dei primi anni ’90, e quello che mi stava pericolosamente allontanando da uno dei giochi più belli che l’uomo abbia mai inventato, ovvero la versione 2000 del prototipo ti salto il liceo perché sono il più fico del mondo ed occhio perché ho una magnum 45 in tasca. L’editoriale si concludeva con una considerazione positiva sul college basket, che perlomeno conservava intatto un po’ di fascino che avevo originariamente trovato pure nella Nba nonostante lo snobismo mi molte stelline in procinto di fare il gran salto, e con l’amara constatazione che di partite di regular season professionistiche non se ne poteva davvero più. Si giocava (e si gioca) per arrivare ultimi, per far vincere il rookie dell’anno al tuo giocatore facendolo tirare ad ogni azione, troppe squadre restavano inchiodate alla mediocrità senza uscirne.

Non restava altro che attendere i playoffs, capaci di dare un colpo di spugna al grigiore del campionato normale, ma soprattutto di accendere la spia dell’emozione.

Il basket di fine aprile si trasforma difatti in uno spettacolo stratosferico, ci sono guerre al meglio delle sette gare, punteggi bassi ma vicini, tiri dell’ultimo secondo, upsets, e tanto agonismo, altro che bulletti che si atteggiano contro il niente nei noiosi matinè che conosciamo fin troppo bene.
Nei playoffs c’è poco spazio per i giochetti ed ancora meno per i senza palle che hanno alta considerazione di sé solo per i troppi zeri che ricevono in conto corrente, non c’è pressione di dover far giocare quel giovanotto arrivato direttamente dalla high school (ovvio, dipende dall’impatto sulla lega di quel giovanotto, mica sono tutti Chosen Ones) perché una sola cosa conta, ed è vincere. Lo sanno i San Antonio Spurs, che tra le loro file non schierano lagnoni problematici, piuttosto selezionano accuratamente il loro personale, che oltre che saper giocare ai massimi livelli come squadra sa anche come rappresentarla al di fuori del rettangolo di gioco. Niente gangstas, niente farabutti, niente rogne. Si gioca una stagione intera con la stessa intensità, e l’obbiettivo è sempre quello: vittoria ad ogni costo.

Tuttavia per quanto vincenti e perfetti possano essere gli Spurs, anch’essi sono una noia mortale da vedere in stagione regolare, perché questa non offre particolari emozioni dal punto di vista cardiaco: qualche buona partita si è vista, d’accordo, la gara serale della domenica con i Lakers in bianco e qualche scontro al vertice con protagonista il facelift di Boston è stato tutt’altro da scartare, ma il livello generale è sceso, lo dissi due anni fa e lo ripeto adesso. Finchè ci sono squadre che giocano per riempire al massimo la boccia di palline da ping pong e lasciano quella cosa chiamata orgoglio chissà dove, qui non ci si salva, è una vera e propria condanna.

Per sfuggire al tedio c’è sempre e solo una soluzione: i fuochi pirotecnici dei playoffs. Lì si accendono e si rinnovano rivalità, lì ci si guarda storto come si deve, lì c’è davvero un fattore campo, perché 20.000 mormoni che per due ore e mezza si dimenticano di Cristo e ti urlano addosso di tutto possono davvero mettere in soggezione chiunque. Lì si va fuori dalle righe di tanto in tanto, il gioco è più fisico, più maschio direbbero dalle nostre parti, e nelle aree verniciate si fa davvero fatica ad entrare.

Quest’anno abbiamo avuto la fortuna di vedere l’ennesima serie dell’infinita saga tra Cleveland e Washington, lo spauracchio biancoverde procurato dai piccoli e sorprendenti Hawks, Tim Duncan acciuffare l’overtime con una tripla allo scadere e soprattutto abbiamo goduto della crescita di Deron Williams e Chris Paul, due youngsters appartenenti all’ultima generazione di cestisti, ma avanti di diverse miglia a livello mentale e tecnico rispetto ad essi. Il bello è che c’è ancora molto di cui compiacersi, perché lo show è appena cominciato: gli Hornets stanno proseguendo un cammino storico per la storia della franchigia ed hanno messo sotto i campioni in carica, i Lebron Cavaliers hanno incrociato la loro strada con i Big Three, Kobe ed i soldati di Detroit avanzano senza soste nelle rispettive Conferences a suon di difesa e canestri. Avanti così.

Comunque sia, al calo dello spettacolo della stagione regolare, i playoffs hanno sempre risposto in maniera a dir poco esaltante, tutte le ultime edizioni hanno riservato cose più che gradevoli ai nostri occhi con la sola esclusione della Finale 2007, già scontata prima della palla a due di gara 1.
In precedenza, giusto per citare qualche episodio sparso, avevamo visto una stupenda serie all’ultimo sangue tra Dallas e San Antonio, la fine dell’egemonia losanegelena per mano di Rasheed e compagni, l’inaspettato trionfo dei Miami Heat, ed un’importante rivalità nascente tra LeBron James e Gilbert Arenas, amici fuori dal campo ma eterni sfidanti al suo interno, capaci di scambiarsi quarantelli e tempi supplementari degni di una vera e propria finalissima. Lo stesso James aveva estasiato le platee, demolendo da solo una costante della recente postseason, i Detroit Pistons, portando i Cavs dove Daugherty e Price avevano trovato strada chiusa dalla mano di un 23 con la maglia rossa.

In questo territorio la posta è alta, ci si conquista la vera immortalità, che viene data dal numero di Larry O’Brien che una squadra riesce a levare al cielo. Gli animi si scaldano facilmente, subentra una competitività che solo il fatto di giocare per sopravvivere riesce ad infondere in un atleta, fattore che più di ogni altro tiene alto il livello del gioco. E poi diciamocelo onestamente, qualche scaramuccia, alla gente, piace vederla. Ovvio, bisogna conoscere qual è il limite da non oltrepassare, quindi non incitiamo in nessun modo azioni tipo la Royal Rumble del Palace of Auburn Hills, né spargimenti di sangue, diciamo solo che tra il basket soporifero e quello vero preferiamo nettamente il secondo.

David Stern, però, è indignato da parte di questo agonismo e non ha digerito le provocazioni di DeShawn Stevenson, le gesture gangsta di Paul Pierce, lo sguardo incendiario di Kevin Garnett verso Zaza Pachulia, nonché i numerosi flagrant fouls fischiati nel solo primo turno di playoffs.
Il commissioner non è affatto convinto che ciò sia gioviale per la sua lega, e persevera nel suo puritanesimo continuando a vestire i panni del giustiziere della notte (che abbia preso la stessa malattia di Roger Goodell, suo pari della Nfl?) dichiarando che non sarà permesso a tali nefandezze di inquinare l’immagine della Nba agli occhi del mondo. Vabbè, lasciamo stare il gesto di Pierce, perché l’America non ha ancora deciso se sia davvero un motto dei famigerati Blood, gang tra le più sanguinarie di Los Angeles e non solo, oppure se sia qualcos’altro il cui significato sia stato rimpiazzato all’ultimo momento per salvarsi in corner da una potenziale gaffe di Double P, prendiamo però in considerazione il resto.

Andiamo allora a vedere che immagine ha questo basket americano agli occhi del mondo. Ne consegue che: A) gli Stati Uniti regalano la massima espressione di questo gioco, ma non certo nella regular season; B) la differenza tra Usa e Resto del Mondo è molto più sottile di quella di vent’anni fa; C) alcuni giocatori europei che sono nella Nba fanno molta differenza; D) in America nessuno ricorda più che cosa sia la tattica, cosa rappresenti un fondamentale, perché tanto questi sono tutti atleti che zompano e quando schiacciano non li ferma nessuno; E) i giovani che scippano il college arrivano tra i pro completamente impreparati (per un Kobe e per un LeBron ricordatevi che esiste sempre un Kwame Brown od un Martell Webster) e….last but not least F) la nazionale Usa, l’ex Dream Team, agli occhi del mondo che cita Stern è una ridicola macchina messa in moto da un’eccessiva autostima.

Che male c’è, quindi, se un Garnett inferocito difende la sua area di casa sua da uno che non è americano (e già qui gli girano i cosiddetti) e perdipiù non è del suo colore (qui stavolta girano in maniera vorticosa)? Stern ha timore di ripercussioni da strada sull’asse Boston-Tbilisi? Biggie contro Tupac? Per piacere….

E poi, cosa c’è di scandaloso se la superstar della lega, LBJ, viene assediata da falli terminali? Non è il prezzo che ha dovuto pagare anche chi era stato al centro del palco prima di lui? Nessuno ricorda le Jordan Rules? I Pistons che se ne andavano senza dare la mano sono forse uno spettacolo peggiore dei Miami Heat che mollano i buoi dopo 10 partite e compilano un record scandaloso (tanto il check lo ritirano comunque) nemmeno due anni dopo la conquista del loro primo titolo?

Abbiamo citato LeBron James. Perchè David Stern non si preoccupa con maggiore attenzione del tipo di messaggio che il suo giocatore-immagine manda al mondo che guarda, piuttosto che di quel testosterone che salva ogni anno la sua lega quando la temperatura sale?

James è uno di quei giocatori che nascono una volta ogni cinquant’anni, è l’unico rappresentante dell’era moderna che possa rischiare di vantare una tripla doppia di media, uno che si è tecnicamente migliorato negli anni e che ha saputo incidere sui destini di una franchigia in età tenerissima, talmente baciato dal talento da ricevere anzitempo un testimone che molti suoi predecessori non avevano saputo portare nella strada tra l‘era moderna ed il primo ritiro dell’icona della Nba, Michael Jordan. Un predestinato, uno che alle parole (dei media) ha fatto seguire molti fatti, e si è messo a dominare la lega con stordente facilità. Per questo, bisogna solamente levarsi il cappello davanti a lui. Purtroppo, il salto tra il chapeau e l’autentica venerazione è troppo corto, e l’hanno già compiuto troppe persone, con la Nba a fare da capofila.
Un tempo ragazzo di modi gentili ed educati, molto bravo nella gestione di tutta quella cascata mediatica dalla quale si è trovato investito, LeBron oggi è l’esempio della superstar viziata, quella che ha tutto e vuole ancora di più. Peggio del resto, vuole tutti ai suoi ordini.
I manifesti di Cleveland lo immortalano riportando le scritte “siete tutti testimoni”, lui soffia il talco in aria dando segni di onnipotenza, lui entra in campo mimando quella fastidiosa scenetta dove si fotografa a vicenda con Damon Jones (uno che è arrivato tardi quando distribuivano i cervelli) lui è e si ritiene una divinità perché tutto quello che tocca produce grano.

Ma cosa succede quando non tutti sono assoggettati alle sue volontà? Piange perché lo chiamano (ingiustamente, per carità) overrated, se la prende con DeShawn Stevenson, essere inferiore che ha osato parlare contro di lui, perché gli rivolge il gesto del tagliagole, e gli toglie la fascetta dalla testa con un fallo terminale. Si lamenta perché Haywood ed il Verizon Center lo dipingono come un crybaby, epiteto che nessuno al mondo avrebbe mai rivolto ad un Jordan o ad un Magic. Forse perché quelli sapevano di essere grandi, ma lo erano in modo da essere rispettati da tutti.

Stern non digerisce i gestacci ed i falli duri, ma non muove un muscolo se una serie di playoffs del suo campionato viene pateticamente (mossa pubblicitaria ad hoc – i soliti italiani - ndr) trasformata in una guerra tra rappers, uno dei quali, Jay-Z, detiene una quota dei futuri Brooklin Nets. L’altro, Souljah Boy, ha solo avuto la fortuna di trovarsi invischiato in tutto ciò, perché il brusio che si è alzato gli renderà tanti (immeritati) dollari.
L’egemonia di King James è così forte che qualche arbitro per lui (e non solo) ha inventato il quarto tempo, ed Nba Tv, nell’intervallo di gara 1 tra New Orleans e San Antonio, riportava insistentemente che i Cavs avevano vinto la serie per 5-2, facendo persino miglior figura di qualche quotidiano nostrano, che sul proprio sito era riuscito persino a pubblicare la notizia di un fantomatico 3-2 a favore di Washington con tanto di articolo a corredo.

Stern vuole una Nba dalla faccia pulita, però permette a gente come Bruce Bowen di giocare ancora, e rischia di indispettirsi per gesti come quelli di Chris Paul, che dal Bowen era stato debitamente scalciato da tergo in regular season, si inventa una finta da playground a risultato acquisito nell’appena citata gara 1 e ridicolizza il (buon) Bruce dicendogli anche due paroline in faccia. Stern vuole una Nba fresh and clean, che dia messaggi positivi al mondo. E che possibilmente, pensiamo noi, sia pure rammollita.

Stern ha altri problemi da risolvere, sicuramente di maggiore precedenza rispetto agli hard fouls: il trasferimento degli storici Seattle Sonics ad Oklahoma City ha alzato un vero e proprio vespaio di polemiche, ed una città intera è insorta in quanto tradita da un proprietario che aveva acquistato la squadra nel 2006 promettendo di compiere ogni singola azione che sarebbe servita a rinnovare la Key Arena. Il risultato è stata una causa legale promossa dalla città contro la proprietà della franchigia, e Stern ha fatto la figura di quello che preferisce garantire maggiori entrate piuttosto che proteggere una squadra che ha fatto da punto di riferimento nel nordovest della Nba.

Sarebbe questa l’immagine pulita? Quella che se ne fotte di quarant'anni nella Rainy City e trasloca nell'Oklahoma due anni prima della scadenza dell’accordo per l’affitto della Key Arena per chiari interessi economici?

Non ci sorprendiamo più di tanto, perché questa è la stessa organizzazione che ha portato gli Hornets a New Orleans perché a Charlotte il basket pro non se lo filavano troppo, per poi appostarvi i neonati Bobcats aggiungendo altri 15 posti a roster per dei giocatori che nella massima espressione del basket mondiale non dovrebbero nemmeno pensare di presenziare.
Perché non spostare i Clippers, piuttosto, che a Los Angeles non hanno e non avranno mai cittadinanza e tantomeno un derby che possa definirsi tale (ce ne fosse una di squadra fondata a L.A…), trovando un mortale che cambi loro nome ed uniforme visto che fanno schifo l’uno e anche l’altra? Perché non tenere Oklahoma City per i Bobcats? Perché non riportare gli Hornets a Charlotte visto che, a posteriori, non valeva la pena di spostarli?

Queste sono le cose che mettono in pericolo il legame dei fans con il gioco, non le headbands che volano per le terre assieme ai culetti delle superstars viziate.

Se troveremo risposte a tutte le domande che abbiamo sopra riportato ve lo faremo sapere di sicuro. Nel frattempo, visto che quest’anno l’offerta satellitare è molto ricca ed il divano di casa è sempre comodo, ci guardiamo un’altra partita di playoffs, dove gli atleti più forti del mondo giocano con il massimo agonismo possibile. E se ogni tanto ci scappa pure un flagrant foul, a noi nemmeno dispiace. I playoffs non sono roba per femminucce.

martedì 6 maggio 2008

Profili NBA: la quinta

Scusa China se prendo spazio ma debbo pubblicare il mio post...

New Orleans

Questa squadra mi ricorda New Jersey per come si è formata e per le vicissitudini che ha avuto in questi ultimi anni. Il management ha cercato di mettere insieme pezzo dopo pezzo giocatori abbastanza giovani sborsando cifre anche un pò rischiose. Sino all'anno scorso gli infortuni a Stojakovic, West e Chandler hanno limitato il rendimento complessivo ad un record anonimo. Quest'anno senza nessun infortunato e con un Paul che sta andando oltre ogni previsione, il capolavoro è servito sul piatto della western conference: squadra ostica come poche negli scontri diretti tra grandi, record da capogiro e CP3 candidato ad MVP.
Che dire?...credito a Scott tanto per iniziare, che credo si stia guadagnando una chiamata come successore di Jackson a L.A.. Innegabilmente questa squadra ha un'identità molto precisa, rende alla grande per il suo potenziale, che a mio avviso non è sconfinato, pur avendo una panchina buona ma corta.
La loro caratteristica principale è che tirano in sospensione come nessuno nell'NBA. Sono letali. T'ammazzano creando spazio con le incursioni di Paul che o conclude per conto suo o scarica per un intelligente compagno che si è mosso per tempo. Giocano prettamente di fino, sono una squadra meno atletica e potente della media, cosa che potrebbe anche farsi sentire nei playoff, dove il gioco volente o nolente è più duro. Meritano sicuramente tanto rispetto e con qualche piccola aggiunta - necessaria secondo me - se la giocherebbero per il titolo.
Da ultimo una segnalazione per Julian Wright: a me questo piace davvero parecchio, sta ancora cercando di capire come funziona il tutto, ma ha l'istinto per la giocata giusta e talento e corpo da grande giocatore, anche se sinora non ha fatto una fava. Dategli un occhiata.

Detroit

Difficile dire qualcosa che non sia banale su questa squadra, visto che non è cambiata quasi niente in questi anni. Cercherò di non tediarvi troppo. Quando era stato ceduto Wallace, avevo detto che giusta o sbagliata che fosse la cessione sarebbe iniziato il declino dei Pistons. Non che siano calati granché in verità, però in difesa non sono più asfissianti come prima ed emotivamente comunque non sono più gli stessi. Resta il fatto che se decidono di giocare lo fanno come nessun altro. E vincono il titolo. Ma soprattutto una cosa: hanno il giocatore che ha il più bel fisico per giocare a basket, che è anche il più forte difensore che abbia mai visto dai tempi di Pippen (Duncan compreso), nonché una delle testoline più in fermento che si sia vista sopra il corpo di un fuoriclasse. Ovviamente sto parlando di Rasheed, alias Chinasky. Uno dei miei giocatori preferiti, per la parte difensiva senza dubbio il più dotato. E' in grado di tenere chiunque se solo ne ha voglia, da Parker a Dwight Howard. A me fa impazzire. Se fossi un allenatore gli direi qualcosa del tipo: "senti, io lo so che senza di te non si vince, punto e basta. Da parte mia non mollerò un singolo punto finché sarò su questa panchina, perché quel titolo lo voglio ad ogni costo. So anche che se giochi come sai non ce n'é per nessuno. E questo lo sai anche tu. Se ti va di vincere fammi sapere."
Le giovani leve che possono portare un pò di aria fresca sono in puro stile Bad Boys, talento buono ma magari non cristallino ed in compenso cazzimme a volontà. Gli anni a venire ci diranno se i vari Stuckey, Johnson, Maxiell sapranno diventare qualcosa di più dei buoni rincalzi che per adesso sono, il primo dei tre in particolare.

Cleveland

Una cosa è certa: quando Ferry ha fatto l'ultima trade aveva un occhio sui roster delle squadre NBA ed uno sul calendario. Quand'è che LeBron può uscire dal contratto? Nel 2010 mi pare, non sono sicuro. Beh, il fattore tempo è sempre stato fondamentale ai Cavs da quando è arrivato James. Per dirla tutta è stata la fretta nel mercato dei free agent ad azzoppare questa squadra, che ha allargato sontuosamente i cordoni della borsa per gente come Hughes, Damon Jones, Eric Snow, che non hanno dato il contributo sperato (eufemismo). Negli ultimi anni mi pare che l'80% delle operazioni che i GM vorrebbero non avere fatto sono proprio i grandi acquisti sul mercato dei free agent (Blount, Ben Wallace, Tim Thomas, Q. Richardson, Radmanovic, Mike e Sexy James, Banks, Bobby Simmons - e tra un pò Rashard Lewis - tra i più raccapriccianti). Così, tornando in Ohio, ci si doveva muovere in qualche modo...e non lo si è fatto male: in un certo senso si son dati via due giocatori dalla dubbia tempra e si son presi quattro giocatori complessivamente più determinati e complementari al gioco di James. Bene. Il problema è che l'età media si è alzata sin troppo, ma soprattutto adesso tutto il gioco dipende da ciò che fa James. Prima Hughes e Gooden potevano creare di loro iniziativa in maniera anche efficace, adesso i nuovi quattro guardano cosa fa il 23 e sfruttano le opportunità. Ma il problema deriva dall'errore originale di fare brutti affari sul mercato dei free agent. Inoltre non difendono nella maniera chirurgica che li ha portati in finale, perciò i pronostici non li danno più così in alto, giustamente. Al momento le mie previsioni sono di un James che non avrà una squadra da titolo sino al 2010 e che poi se ne andrà altrove. Vedremo e,se necessario, aggiorneremo.

Washington

Nella capitale si è deciso di puntare su un nucleo preciso di giocatori versatili e su un gioco di movimento che li metta nelle condizioni di esprimere il loro talento a 360 gradi. Bene. Il sistema è tanto valido che il loro migliore giocatore si può assentare tutta la stagione alle prese col suo ginocchio, e la squadra colleziona un record grossomodo uguale all'anno precedente. Benissimo. Ma davvero così valido che quando torna non sai se ti serve davvero averlo questo giocatore, soprattutto con quello che costa. C'è da dire che Jamison aveva il pungolone del contratto in scadenza, quindi lo attendiamo ad un certo ridimensionamento l'anno prossimo. Tuttavia, con o senza Arenas, non vedo come questo nucleo possa vincere il titolo. Buono, per carità, pericoloso nei playoff. Ma arrivare sino in fondo la vedo quasi impossibile. In altre parole il livello è buono ma non eccezionale, il che serve per costruire quella continuità di vittorie che è sempre stata fondamentale per arrivare poi in vetta (ahia Boston), ma per competere fino in fondo non basta. Anche perché, voglio dire, con Jamison pensi di vincere? Con tutti gli altri sì. Ma lui che festeggia l'anello in una squadra in cui è protagonista? Non scherziamo...e non tanto per una questione tecnica, quanto per una questione salariale: dopo che paghi lui, quanto hai ancora da spendere? Non ne so molto del nuovo CBA, ma mi sa che ti leghi le mani definitivamente...
Quindi Aza, volevi sapere la mia opinione sui tuoi Wizards? Bocciati se tengono Antawn a quei prezzi, period.
Per chiudere ancora una nota sui giovani: a Washington ce ne più di uno interessante, ma Nick Young merita attenzione particolare, lo vedo bene come giocatore da fanta tra un paio di stagioni.

domenica 4 maggio 2008

MotoGP - Round #4

Il GP cinese regala una gara ben poco emozionante, se le Olimpiadi saranno di questo tenore prepariamoci a un mese di sonno. Gara pulita per tutti, ognuno fa il suo dovere, con un ottimo Lorenzo che va oltre l'infortunio di venerdì, una Ducati che nel giorno della riscossa sbaglia probabilmente le gomme ed un Rossi che torna a vincere. Si alza il livello di inquinamento nella zona mettendo a rischio lo svolgimento della maratona olimpica ma, cosa che più ci interessa, è la quarta gara con un quarto vincitore differente. Tutti felici, tutti che impennano all'arrivo ed un campionato in cui non si trova il vero dominatore, anche se alla Honda sembrano avere una marcia in più; con un pilota maschio chiuderebbero iò mondiale a giugno, purtroppo han deciso di provare con le ragazze e si sa che un minimo di differenza c'è. Stoner sembra ormai lontano, in una bagarre di questo tipo ha già buttato troppi punti, ma il rinato Melandri è segno che la moto male male non va e che... non si sa mai. Mai dire mai, mai dire sempre.


Ah, tra le altre cose abbiamo assistito alla gara registrata da Eurosport, rimpiangendo il vecchio quadratino Mediaset e le telecronache d'un tempo che fu, con bamba, mignotte e Luchinelli sugli scudi. Eurosport che, ieri sera, era impegnata a trasmettere campionati di videogame, come fossero sport come fossero esaltanti da vedere in TV; telecronista il solito tizio a cui fanno fare la AFL e tutti gli sport minori e i giochi per ritardati. Poveraccio...


Valentino Rossi – voto 10

Torna a dominare come ai vecchi tempi, mangia punti in classifica a Lorenzo e Pedrosa e, soprattutto, non ha con se i simpatici amici del suo fan club (o se ci sono siamo noi a cambiare canale prima che arrivino, il merito lasciamolo comunque a lui). Gara come ai vecchio tempi, dicevamo, dove il marchigiano dall'accento romagnolo tiene la moto in modo perfetto valutando le possibilità dell'inseguitore Pedrosa per poi aprire un po' di più nel finale e staccare definitivamente l'avversario. Tra prove e gara una prestazione ineccepibile, il ritorno all'antico e l'esplosione ormonale di Meda che riappare a FuoriGiri come un adolescente in calore. Il padrone di casa ha deciso di tornare a rompere le scatole.


Dani Pedrosa – voto 8

Ci starebbe un 9 per la Bela Figuera ma dopo aver letto l'intervista di ieri sulla Gazzetta dello Sport ci rassegnamo ad un pilota scuola Prost o, rimanendo al Motomondiale, di scuola.... Hayden. Contiamo i punti e quanti GP mancano alla fine. Dalla Rosea la spagnola ci fa sapere che, nonostante vinca quasi sempre per distacco, adora vincere anche dopo un bel duello... ecco, se magari ogni tanto provasse anche a sfidare seriamente chi sta davanti invece di puntare sul rettilineo per farsi vedere sperando che chi lo precede se la faccia nei pantaloni ad oggi tornata... ecco, magari apprezzeremmo qualche rischio in più, noi miseri telespettatori. Rimpiangiamo già lo scorso anno, di questi giorni, dove Rossi e Stoner si scornavano ad ogni curva e, mentre l'italiano aspettava i circuiti “misti” l'australiano lo pagava ovunque. Ma almeno c'era lotta tra uomini.


Jorge Lorenzo – voto 10

Gli avevano appena aggiustato le braccia e lui decide di rompersi entrambi i femori, le ginocchia, una caviglia e un malleolo. Corre mezzo sfasciato impiegandoci un po' ad entrare in gioco, poi riconquista la posizione meritata tra i Fab Four. E' questo lo spagnolo che preferiamo anche eprché, sempre da Gazzetta, apprendiamo, che mentre Stoner si sposa e Pedrosa trova la donna giusta per farlo, lui ammette che alla sua età preferisce andare a figa e provare gelati di tutti i gusti. Chiamalo scemo. Poi uno si meraviglia che sia lui e non Pedrosa quello che ha sempre il sorriso nel dopo gara.


Casey Stoner – voto 6

Continuiamo a dare fiducia al canguro convinti che il duo Ducati-Stoner possa ancora dire la propria. Stavolta pare ci siano di mezzo le gomme, ma Stoner non sembra mai in grado di fare una gara davvero di livello e se Lorenzo fosse stato in palla sin dall'inizio forse parleremmo della terza prova fuori dal podio per il campione in carica. 25 punti dalla vetta non sono un disastro con tutto quello che c'è ancora da correre e l'equilibrio tra i 4 piloti più forti, ma presto potrebbe cominciare la selezione naturale e Stoner deve farsi trovare pronto se non vuole incappare in una stagione di di bestemmie. Serve crederci, fino in fondo.


Nicky Hayden – voto 5

Pedrosa vola, lui atterra e aspetta che finisca la stagione per farsi dare una moto più scarsa a cui dare la colpa di prestazioni sempre più anonime. Sarà che con un mondiale in tasca uno può fare lo sborone a vita, ma qui si sta esagerando e diventa sempre più dura pensare che nel team Repsol contino solo sullo spagnolo senza cagare questo qua. Esaltato dal nuovo Speedway di Indianapolis (provato con una moto dei primi anni del secolo scorso e con una attuale) confida sul fatto di avere due gare in casa dove puntare ai 50 punti? Può darsi, ma quella che conosceva davvero bene era Laguna Seca e lo scorso anno fu comunque un lago di sangue.


Marco Melandri – voto 7

Poteva essere la sua ultima gara in Ducati, se le cose fossero andate come al solito sarebbe stato un disastro. Il Brett Favre delle moto passa invece la torcia a Hayden e comincia a correre a dovere. Qualche giro lento per impedire che la torcia stessa si spenga e poi via, verso una gara che, quest'anno, non avevamo ancora visto. Attendiamo dichiarazioni di trionfo e su un futuro sempre più luminoso, del resto basta ritagliare gli articoli degli ultimi 3-4 anni. Arriva su una ruota sola come se avesse fatto la gara più bella della sua vita e si attacca a Madden per rigiocare l'ultima finale di Conference NfC e portare i Packers al Super Bowl. Risultato identico: intercetto in overtime e tutti a letto.


Andrea Dovizioso – voto 6

Il prossimo anno potrà dimostrare ad Hayden come si fa ad andare forte con una moto che può andare forte. Per ora ci prova con un mezzo che fa quello che può e lui si adegua. Buoni spunti, prima metà gara niente male, poi il lento declino. Quando la torcia tocca a lui continua a tenere il gas aperto al massimo, tanto le chance di raggiungere velocità incredibili sono pari a 0. Il prossimo anno sarà tra i Giganti, o almeno è quello che ci auguriamo, il talento c'è, il coraggio anche. Manca qualcosina, e sotto il culo servono cavalli e potenza.


Chris Vermeulen – voto 4

E' l'unico a uscire in una corsa che non crea problemi. Pista lineare e pulita, non mette troppo sotto sforzo i motori e ti porta fino in fondo senza problemi se non sei un cane. Del resto Melandri ha fatto la sua bella figura. Il tutto suona in realtà come l'infortunio a Stefano Baldini che mette a rischio la sua partecipazione alla maratona olimpica. Entrambi pro-Tibet si rifiutano di dichiararlo pubblicamente e preferiscono boicottare fingendo infortuni, l'uno, guasti, l'altro. Sarà per colpa degli sponsor che hanno aziende in Cina?


Colin Edwards – voto 5

Dal mastino texano ci aspettavamo molto di più dopo visto le ottime prove ed il buonissimo avvio di gara dove, nei primi due confusi giri, tiene a bada un caldo (almeno all'inizio) Stoner e sembra poter gestire il gioco. Commette un errore da dilettante nel giorno più promettente dell'anno e si fa infilare per poi spegnersi e retrocedere piano piano sorpassato da tutti quelli che hanno un minimo di gas in più... senza fatica.


Miss Violetta Beauregarde – voto 7,5

La tanto pubblicizzata fellatio dell'artista (???) alternativa italiana ne Il Mucchio Selvaggio, hardcore indipendente romano di cui consigliamo la visione più per trama e dialoghi che per il resto, non è poi così eccezionale vista la tanta pubblicità dell'ultimo anno. Ci aspettavamo qualcosa in più, migliore gestione della situazione, maggiore enfasi, anche se è ovvio che non è ben spalleggiata da un partner piuttosto scadente (“e mo succhiate 'sta sbobba” è una frase che davvero distrugge definitivamente le possibilità di riuscita dell'episodio). Violetta dimostra comunque abilità di Gola Profonda non indifferenti, speriamo di rivederla in circuiti più consoni al suo lavoro.