giovedì 3 gennaio 2008

Dov'è finita Cenerentola?

Quando si sente parlare di College, la mente di un appassionato di sport USA riporta sempre al colore degli stadi, al rumore delle bande, alle cheerleaders a bordo campo, a quella sensazione, che può essere anche invidia, di un mondo di cui vorremmo far parte, di cui vorremmo vivere le emozioni, giorno per giorno, cantando e ballando con il pubblico sugli spalti, esultando per una vittoria, piangendo per una sconfitta.
In questo mondo la parola Cenerentola (Cinderella) ha sempre avuto un significato particolare, che sfociava nella leggenda, dando il via a racconti epici, alcune volte gonfiati, ma sempre piacevoli da ascoltare ed emozionanti da vivere, anche solo davanti ad un televisore a migliaia di kilometri di distanza.
La squadra sfavorita, senza nessun pronostico, sconosciuta al panorama nazionale, che improvvisamente si scopre grande, anche solo per una sera, cullando il sogno che molti di noi vorrebbero vivere in prima persona, vincere contro il pronostico, sconfiggere i più forti e diventare delle star.
Nel mondo sportivo collegiale americano di situazioni del genere ce ne son state tante nel passato, sia nel basket che nel football. Nel Torneo NCAA ogni anno gli analisti cercavano di scovare quale poteva essere la sorpresa assoluta, ci sono squadre che sono state Cinderella per molto tempo prima di diventare delle potenze sportive.
Nel football ci sono i Bowls, partite secche, dentro o fuori, situazioni ancora più drammatiche, meno frequenti rispetto al basket, ma più belle da vivere e raccontare, come l’anno scorso, quando la sconosciuta Boise State firmò un’annata piena di vittorie, che la portò nelle vette del ranking nazionale, che la fece sognare anche solo per un attimo di poter vincere il titolo, per poi scendere dal piedistallo, ma avere comunque la possibilità di giocarsi un Bowl BCS, contro l’Oklahoma del fenomeno Adrian Peterson.
Quella fu una partita da leggenda. Finita in overtime, con una delle giocate più incredibili degli ultimi anni, vinta dai più deboli, che fecero impazzire una nazione, che generarono storie belle e commoventi.

Ora tutto questo sembra svanito.

Un vento gelido che ha iniziato a soffiare nella March Madness dell’aprile scorso, quando alle Final Eight sono approdate sette delle prime otto teste di serie del Torneo e Oregon, unica squadra a non essere n.1 o 2 del lotto, era una n.3. La vittoria è andata ai favoriti della vigilia, ai campioni nazionali uscenti di Florida, che hanno battuto Ohio State, considerata da tutti la rivale più accreditata per i Gators. Nessuna sorpresa, nessuna Cinderella, i più forti hanno avuto la meglio e hanno vinto, dominato, senza guardarsi indietro.

Si pensava che fosse un caso. Il College Football poteva regalare ancora delle emozioni. La regular season proponeva subito una squadra del destino, Illinois, grande nel basket, ma piccola nel football. Veniva da due stagioni chiuse con solamente due vittorie e diciannove sconfitte, sempre in fondo alla Big Ten. Quest’anno però la musica era cambiata. Ron Zook aveva visto i suoi battere una super corazzata come Ohio State, di un punto, in una partita da cuori forti, che aveva lanciato i Fightin Illini verso le vette del Ranking, che aveva dato loro la possibilità di giocarsi un Bowl principale, come successe per Boise State lo scorso anno.
Viaggio verso la California, destinazione Rose Bowl, Pasadena, contro i campioni della Pac-10, USC, la squadra dinastia per eccellenza dell’ultimo lustro, guidata dal santone Pete Carroll.
Il più classico dei Davide contro Golia. Nessuno lo diceva, ma tutti erano pronti ad estrarre la penna giusta per scrivere di un’altra pagina emozionante dello sport a stelle e strisce.
Sembrava tutto pronto, USC aveva già perso in stagione contro una Cenerentola, Stanford, sconfitta decisiva per l’approdo alla Finale Nazionale. Illinois poteva vincere.

Invece ha perso. Una sconfitta ampia, giusta, senza recriminazioni. Anche stavolta il più forte ha vinto e ha voluto farlo nel modo più inequivocabile. Dominando.
Illinois non ha potuto nulla, nemmeno la fortuna ha girato dalla parte degli Illini, pochi minuti di inerzia svaniti subito e spenti definitivamente dalla potenza tecnica e atletica dei Trojans.
Ron Zook a fine gara era amareggiato, non ha parlato di sogno, non ha ringraziato i suoi ragazzi o detto di essere fiero di ciò che si è fatto, ha parlato della partita ed è stato molto duro: “Eravamo qui a rappresentare la Conference e abbiamo portato la Big Ten verso il basso. Noi possiamo competere, ma abbiamo bisogno di dimostrarlo.”
Parole che sono un macigno per i propri giocatori. Niente più Cerentola. Dobbiamo pensare in grande per diventare grandi, molti rimpianti, nessuna festa per una stagione comunque eccezionale.
Accuse dirette che potrebbero sembrare esagerate, ma che sono figlie di un pensiero che sembra ormai aver preso piede anche all’interno del mondo collegiale, bisogna vivere da professionisti in un mondo di dilettanti, pensare alla vittoria, pensare ad essere grandi, per diventarlo.
La favola è finita. Nessun lieto fine per quest’anno.
Restiamo in attesa però, perché la magia possa ritornare, c’è ancora una March Madness da giocare, c’è ancora tanto college sport da vivere.

4 commenti:

azazel ha detto...

Ottimo Teo!! in effetti sembrano sempre meno le sorprese, anche se per quest' anno ho ancora negli occhi le scene di giubilo dei tifosi di Appalachian State ad inizio anno contro Michigan :forza:

Ps.La favola è finita. così è contento anche polpaol :fischia:

aLesAN ha detto...

Non vi preoccupate, il lieto fine ci sarà in Nfl visto che l'impero del male verrà sconfitto.

Anonimo ha detto...

per fortuna Cenerentola se n'è stata buona buonina a casa sua...
Fight on ! Go Trojans !

:gogogo:

azazel ha detto...

Cenerentola c' è stata solo in NFL... :giants: :chargers: ecco...lì poteva anche fare a meno di presentarsi...