lunedì 29 giugno 2009

Yankees and Confederates


Prendiamo a prestito il titolo di un pezzo degli US Bombs che non ha nulla che vedere con questo post, né come titolo né come contenuto. Però ci piaceva, ha qualche assonanza con quanto conclusosi ieri sera, e vogliamo celebrare così l'avvento degli USA nella leadership del soccer mondiale, la grande impresa a stelle e strisce nel gioco più amato del mondo dopo il cricket, la grande rivincita del terzo mondo calcistico (o secondo, fate voi). L'impresa che ha tenuto davanti agli schermi milioni di persone anche perché, da dietro, nessuno vedeva una mazza.

E così, con la tempistica playitiana che subiva un'impennata di esaltazione dopo l'incredibile passaggio del I° turno con tanto di articoli in tempi quasi reale che rivitalizzavano anche il buon vecchio Fatur di epoche che molti considerano pre-purghe, la cavalcata degli USA prendeva sempre più forma diventando quasi una realtà incontestabile a soli 45 minuti dalla fine del torneo.

Diciamolo, la Conferedations Cup è una figata, non la guarda nessuno e presenta un 80% di squadre indegne, ma è una figata. Volete mettere con le amichevoluccie di fine campionato contro Islanda, Irlanda del Nord o Polonia. Almeno qui si parla di un torneo ufficiale e nessuno, a parte l'Italia, vi si presenta dicendo che tutto sommato non gliene frega niente di come andrà a finire. Certo, perderla non è un dramma, ma dipende anche da come perdi. E vincerla è sempre meglio che perderla, diciamolo.

Ad ogni modo, la Coppa delle Confederazioni (CC) è un buon antipasto per chi ama il calcio, non ha una cippa di meglio da fare e vede il proprio campionato via via svuotarsi dei talenti migliori. Forse, se in Serie A domani giocheranno solo i Peretti, i Russetti e i Poli la nazionale risulterà compatta e competitiva anche in tornei di seconda fascia.

Quattro passi indietro

Benché la CC esista dal 1992 in Italia se ne sono davvero accorti tutti solo 4 anni fa quando Brasile e Argentina si affrontarono in Italia. Probabile che per Sport Italia sia stata la serata col maggior dato di ascolti di sempre, persino la stampa nostrana esaltava la sfilata di campioni, molti dei quali protagonisti in Italia e alcuni dei quali poi finiti a bere troppo alcool per risultare credibili; una stampa che anticipava il gran gourmet della Coppa del Mondo dell'anno seguente quando, invece, in Sudamerica finirono zeru tituli.

Nata come un trofeo amichevole organizzato da non so quale re dell'Arabia Saudita, tempo pochi anni e la Fifa se ne appropriò trasformandola in un torneo ufficiale, prima biennale poi, vista l'alta percentuale di gare soporifere, diventò quadriennale e da giocarsi l'anno prima dei mondiali nella medesima sede di questi ultimi.

Storico il 4-1 dei brasiliani all'Argentina di cui sopra, tristemente famosa anche la partita in cui morì il camerunense Foe. Tutti ricordano l'episodio, nessuno che avvenne in una finale di CC. Si era ancora in epoca biennale, la Francia vinse il suo secondo trofeo dopo quello del 2001 in una bruttissima finale (che io vidi...) contro il Giappone e che già lasciava intendere il clima del mondiale asiatico tanto voluto da Sepp Blatter. Probabilmente la partita più brutta della storia del calcio superata due settimane fa dall'esordio tra Sudafrica e Iraq. 'Na ciofeca.

Il Brasile ha vinto il terzo titolo, una finale la perse, col Messico 4-3, una l'ha vinta l'Argentina e l'altra... la Danimarca, quella campione d'Europa. Proprio quella.

Il Sudafrica

Trofeo spento se non per una paio di match, ma la valutazione la lascio ad altri visto che, lo ammetto, ho seguito poche gare, tutte in modo distratto e senza una vera continuità. Mi hanno colpito gli stadi perennemente vuoti, come se da quelle parti nazionali come Brasile, Spagna e Italia passassero ogni sei mesi per una tournée. Per la Nuova Zelanda sono giustificati, quando passano di là è per un altro sport e per esibizioni di tutt'altro spessore. Il sorteggio per i gironi è tipico da palline calde: Italia-Brasile non ce la vogliamo perdere e le sistemiamo insieme, se va di culo ci scappa pure il finalone con 9 coppe del mondo in campo. Per evitare figuracce inseriamo le due potenzialmente più scarse col Sudafrica, la Spagna teniamola pure, tanto col secondo posto si passa e speriamo che l'Italia vinca il girone che magari facciamo anche la bella figura di buttarli fuori. Purtroppo per loro sono arrivati tardi.

Tremende le trombette, auspico un mondiale col “mute” della TV perennemente attivato. Peggio ci sono state solo le trombe dell'Intercontinentale a Tokio ai tempi del culo di Sacchi. Gli stadi non ho capito se siano belli o brutti ed ho seria difficoltà coi nomi delle citt anche se, un giorno, non mi dispiacerebbe vivere a Pretoria.

Il torneo e le squadre

Il Brasile (voto 8 perché ha vinto ma spesso ha rischiato troppo grosso) trionfa senza dominare. Batte l'Egitto all'ultimo su rigore dopo essere stata rimontata dal 3-1 al 3-3, asfalta USA e Italia senza troppi problemi ma vince a 3 dalla fine col Sudafrica su calcio da fermo. Cogli USA è anche sfortunato in alcune occasioni e (nel 2009) un goal fantasma non gli avviene assegnato... pensa se succedesse tra un anno, in finale. Molto bello. Poi vince, si commuove, appartiene a Gesù e sembra che abbia vinto il 7° mondiale di fila. Un po' di calma per carità, se vincono il prossimo anno che fanno?

Gli USA (voto 9) sono la rivelazione per dove riescono ad arrivare. I problemi nella preparazione del torneo sono stati soprattutto trasformare Donovan da quarterback a regista (troppo basso per il primo ruolo), Dempsey da playmaker a punta (pessimo palleggio) e Bocanegra da cantante di feste latinoamericane in difensore (poca estensione vocale). Il resto è stata una discesa. Sfortunati con l'Italia dove rimangono in dieci se no, chissà, ridicolizzano poi l'Egitto e l'Invincibile Armata spagnola. Per 45 minuti sognano di arrivare in cima al mondo, poi negli spogliatoi gli dicono che non conta una mazza e che in Patria non se li cagherebbe comunque nessuno e si demoralizzano. Peccato. Il sogno americano svanisce su un colpo di testa del commovente Lucio, sollevato direttamente dalle mani del Cristo per giungere lassù, più in alto di tutti.

La Spagna (voto 7) sottovaluta gli USA e si fa mandare a casa, poi si diverte nella finalina che se già conta poco ai mondiali figuriamoci qua. Questi fanno paura, sono giovani, bravi tecnicamente, pieni di gente che la butta dentro. Di solito però ai mondiali si sciolgono, vediamo se sarà ancora così. Certo è che, dopo che la Nuova Zelanda ci aveva impensierito in amichevole ero curioso di vederla all'opera con gli iberici; ho acceso il televisore con 20 minuti di ritardo e l'ho spento subito leggendo un tragico risultato.

L'Italia (voto 3) è già discutibile per la scelta dei pantaloncini (mi dicono marroncini) che indossa le prime due gare. Che il merchandising debba prendersi la briga di cambiare anche i colori “sociali” delle nazionali mi sembra vergognoso ma, per lo meno, si prenda ispirazione dalla bandiera, non dal buco dal culo. Ad ogni modo, ogni gara è un pianto. Per piegare l'incredibile resistenza degli USA in dieci per tutto il secondo tempo servono due tiri da 70 metri, con l'Egitto si va sotto dormendo su un corner e fermati dal fantastico portiere avversario, talmente forte che esce imbattuto. Con noi, perché negli altri 180 minuti ne prende 7, di cui tre dagli USA. Col Brasile il tracollo avviene in 7 minuti e anche quando basterebbe un goal per passare sì e no gli azzurri riescono a provarci. L'idea è che il ricambio generazionale pagherà molto poco in tempi brevi e lo spettro di una bella vacanza stile Mexico 86 è dietro l'angolo. Che figurone. L'unica speranza di Lippi è che Legrottaglie belongs to Jesus anche lui.

Le altre lasciano poco o nulla, la Nuova Zelanda (voto 10 perché ha esultato per uno 0-0 con l'Iraq più di quanto non abbia fatto il Brasile e questo senza appartenere a Gesù) la chiamano All Whites e non so se sia vero o un'invenzione di Galeazzi. Sarebbe ridicolo. L'Egitto (voto 7 perché batte l'Italia) fa pena ma infastidisce il Brasile e sconfigge gli Azzurri. Poi con gli USA torna quello di sempre. L'Iraq (voto 3) semplicemente scende in campo nelle 3 più brutte partite del torneo: una parte di colpa l'avranno loro, no?

I goal più belli? La punizione del solito Mphela per i padroni di casa al 93° della finalina, una sassata storica. E, al primo posto, il contropiede degli USA finalizzato benissimo da Donovan nella finalona. Ho immaginato il buon Spicci in piedi sul divano che si lanciava verso il lampadario della sala per appendersi esultante.

Commenti e l'sms dell'anno

Splendido il siparietto di Massimo Mauro dopo l'eliminazione degli Azzurri: “ora che siamo fuori posso dirlo, questo torneo non conta nulla, non me ne frega niente”

La D'Amico prova a intervenire e lui “l'Italia nei tornei che non contano non si impegna, se ne frega”. Apro una parentesi: e far pagare le spese di viaggio, vitto e alloggio a questi 20 cerebrolesi che vanno là per fare una sega? Mandare un bel certificatino no?

La D'Amico: “va beh, si diceva così anche della Coppa Intercontinentale, poi ci sono squadre che su quella coppa ci hanno costruito momenti di gloria”
Mauro:”si vabbé altra cosa, per fare l'Intercontinentale devi vincere la Champions o l'altra coppa, tutta un'altra storia”. Nessuno ribatte quando un bel “coglione, per fare 'sta merda di torneo devi però vincere o il mondiale o l'europeo, presente? Quelle coppe che, per fortuna, hai sempre visto in TV” In Parlamento ci stava bene, ma a volte capisco che anche in quel luogo certa gente sia fuori posto a prescindere.

Sorvolo sui giornalisti di ieri sera del tragico canale 200 di Sky, l'uomo almeno ammette la propria ignoranza sugli sport americani e non mostra troppa sorpresa quando vede che, in alcuni siti, la notizia della sconfitta USA è in secondo piano rispetto al baseball. Ma pensare che il sito visionato poco prima sia quello di Sport International e non Sport Illustrated sarebbe da licenziamento in tronco anche in Angola.

Comunque, il torneo è quello che è, ci si perde giusto 5 minuti anche se è giusto dire che l'Italia ha fatto pena e il futuro non è così roseo con certa gente. Gli USA invece sono ormai una realtà e come gli africani dovevano vincere un mondiale entro il 2000 sono convinto che anche per loro la data sia vicina anche se nessuna africana ha rispettato la propria. L'Italia, dicevamo però, non ha certezze ed è arrivata dietro agli USA che hanno pure battuto la squadra più forte del mondo (la Spagna, si dice). Zeru certesse, né nell'esperienza dei veterani né sulle speranze dei giovani. Anche se per la Germania non partivamo messi molto meglio a morale. Guardare la nazionale è comunque uno strazio, pensare che il Brasile anche di questi torneini inutili ne vince parecchi e ci gode pure fa un po' incazzare. Restano solo i messaggi da mandare a Julius, la Bestia delle Bestie di Carpi, sempre pronto ad una rasoiata per tutti, un intervento da dietro pronto a spaccare le gambe. Così, dopo due o tre scambi di insulti alla squadra dopo la prestazione coi verdeoro giunge la sua sentenza:

“Bestia è inutile a parte il mondiale 82 dobbiamo chiederci come abbiamo fatto a vincere 4 mondiali: dei primi 2 non ci sono le immagini l'ultimo ai rigori”

Come direbbe Landon Donovan: period.

domenica 28 giugno 2009

Affinità-divergenze fra il compagno Canepa e noi. Del conseguimento della maggiore età e la constatazione che ci vogliono 2 palle così - MotoGP 09 #7

Siamo seri, qui è ora di contestare. E di farlo con forza. Va bene, sarà un mondiale probabilmente tirato fino in fondo, forse una gara a 3 fino all'ultima curva, ammesso che a Stoner passi il mal di pancia o quello che ha.

Sarà una bella sfida punto a punto per tutto il 2009, la cosa brutta è che per seguire questo rincorrersi di punteggi in classifica generale basterà anche solo leggere sul giornale la mattina dopo la corsa. Che senso ha continuare a guardare queste corse? Vi confesso che se criptassero la MotoGP da tutti i miei televisori ne risentirei il giusto. Io, che in un modo o nell'altro l'ho sempre seguita, dalle sgamate di Tele+ di amici alle VHS passate vuote e riavute con la gara registrata. Rainey, Doohan, Lawson, Gardner, Schwantz, ma anche Roberts sr e Spencer e poi Luchinelli, Roberts jr, Mamola, Biaggi, Rossi. Li ho visti tutti, chi più chi meno, li ricordo tutti, chi più chi meno. Nel mondiale 2009 ci vogliono 2 palle così: a guardarlo, non a guidarlo.

Ho visto derapate incredibili, numeri spettacolari, gare che, fino a qualche anno fa, restavano incerte e piene di battaglie a 2, a 3, a volte anche a 4, fino alla fine. Oggi esaltare una gara che ha due-tre sorpassi importanti nei primi 7-8 giri e poi costringe la regia a mostrare la gara per il 5° o, peggio, 10° posto non ha senso. Nessuno pretende una Laguna Seca 2008 ogni settimana, ma almeno scontri alla Roberts-Spencer (ok, Roberts il meglio lo aveva già dato da un po', ma aveva due palle tanto), Rossi-Biaggi in Sudafrica, per citarne una, Rainey-Schwantz.

Voglio dire, non è che conti molto discutere del "si stava meglio quando si stava peggio" né si può insistere con chi non vuol capire che tra gli anni 80 e i 90 abbiamo avuto una serie di campioni che oggi ce li sogniamo. Va da sé che non si possa ricordare ogni corsa, che probabilmente il dominio in una qualche gara singola con 20 secondi sul primo avversario utile ci fosse anche all'epoca, ma se Rainey, ad esempio, vinceva mondiali conquistando 6 o 7 gran premi (3 nel suo ultimo titolo iridato!) qualcosa vorrà dire. Lotta, difficoltà, talento sparso qua e là.

Non vale il paragone coi due titoli di Nicky Hayden di tre anni fa, un campionato vittima delle sfortune (e di due erroracci) di Valentino Rossi, queste cose rientrano nei casi della vita, le casualità, le variabili che comunque rendono interessante un mondiale diversamente scontato.

Questo non lo è, ma non lo è nel suo complesso, mentre le gare singolo sono spesso una palla. Qualche talento in giro c'è, chi può infastidire Valentino Rossi esiste, ma da quando si è abusato di elettronica tutto è finito. Di fatto, prima, Valentino vinceva facile perché più forte, ma almeno metà mondiale te lo godevi tra volate con Biaggi e spallate con Gibernau. Gibe, poca roba, ma con quella Honda provava a combattere. Oggi ci propinano Pedrosa, un bluff spaventoso assolutamente inidoneo alla classe regina.

Alla MotoGP devono capire una cosa: loro la Fota non ce l'hanno, e quando il marchio Rossi si esaurirà il rischio è di ritrovarsi con campionati aperti ma con poco talento e nessuna emozione dovuta a mezzi che paiono infilati su dei binari e se non hanno in sella l'eroe che apre la marcia un po' di più arrivano fino al traguardo da soli, senza scossoni e divertimento.

Non è solo l'Italia ad eccedere sul Rossi, che i 100 GP li ha vinti e messi in saccoccia, ma mentre Meda ricorda come milioni di italiani abbiano segutio queste 100 vittorie "spesso in piedi sul divano" (ma chiiii?????) io mi chiedo se riavrò la mia vecchia Classe Regina. Perché, oggi, dormire durante una gara di F1 può essere normale, rischiare di farlo a ogni corsa in moto no, non ci sta.

Quindi che senso ha dispensare 10, 9 o 8 a tre piloti che in base al circuito, la gomma, e la salute fisica possono vincere rischiando sempre il giusto? I voti non servono, negli anni questo sport è continuamente peggiorato e sopravvive con Rossi, tra chi lo vuole campione sempre e chi gli tifa contro. Dopo si rischia il vuoto e una noia incredibile. Sono pronto a barattare, non vedo l'ora anzi, i 7 milioni di spettatori in più guadagnati sul divano da Italia 1, con le corse di una volta, molto più simili alla SBK anche se con meno sportellate (che poi anche la SBK, oggi, latita un pochino...). Che mi frega di avere uno che vuole vincere annoiandosi? Meglio i 2 milioncini di un tempo, con gare vere, piloti veri, dove anche i non fenomeni come Mamola facevano numeri da urlo e la moto se la dovevano tenere in piedi con la propria forza. E il proprio stile.

Tutto questo è sbagliato e mi fa venire una gran depressione. A domani, si parlerà di Confederations Cup... a proposito di cose poco appassionanti.

giovedì 18 giugno 2009

Kobe, Zen, e The Big Fish: ed è titolo numero quindici



"A big ol' monkey off my back". Ecco le parole con cui Kobe Bryant ha descritto il suo quarto titolo di carriera, sottolineando, con quella particolare espressione, di essere finalmente riuscito a vincere da solo, da leader assoluto dei suoi Los Angeles Lakers, senza dover condividere il proscenio con un'altra superstar di uguale grandezza. Quella monkey aveva piuttosto assunto le dimensioni di un gorilla, o meglio di un godzilla, o meglio ancora di un Shaq-zilla: era difatti dal quel giugno 2002, da quel tremendo sweep terminato con la classica miriade di carte, cartacce e cartine che gli americani chiamano confetti che ricopriva il la pavimentazione in legno dell'impianto dei New Jersey Nets, che Kobe Bryant, pur essendo già entrato tra i più vincenti di sempre, aveva una missione chiara da completare nella sua vita di giocatore, a qualsiasi costo.


Tutti gli avevano detto che sì, era grande, ma senza Shaquille O'Neal non avrebbe vinto, fatto poi avvalorato dal titolo poi ottenuto dal medesimo Shaq al suo primo anno lontano dai Lakers, e dalla continua ricerca di un trofeo che aveva oramai divorato il fegato di Kobe, passata dalla sopportazione dell'umiliante sconfitta in finale contro Detroit dei Lakers di Gary Payton e Karl Malone, e dall'altrettanto deprimente gara 6 dello scorso anno a Boston, nella quale L.A. fu seppellita sotto 131 punti dei Celtics versione titolo numero diciassette. Shaq vinceva a Miami assieme al suo nuovo amico, Dwyane Wade. Kobe non aveva più vinto niente, se non qualche sfida diretta con il nemico (o amicone? mah...) nelle classiche sfide di Natale di qualche tempo fa.

Dalla scorsa domenica non è più così, Bryant può entrare finalmente di diritto, ma secondo il nostro parere vi era già stato inserito in precedenza, tra le più grandi leggende Nba di sempre, perchè quel fuoco negli occhi, quella fame di vittoria, quell'ossessione che l'ha fatto lavorare in palestra più di chiunque altro, dando l'esempio lui per primo ai compagni che gli hanno fatto da (ottimo) contorno in questo viaggio, erano le stesse peculiarità mostrate da Sua Maestà, Michael Jordan, giocatore che mai come quest'anno è riuscito ad emulare così da vicino.


Eccolo servito, quindi, l'epilogo di un campionato Nba che non sempre è all'altezza delle aspettative in alcune sue fasi dormienti della regular season, ma che quando cominciano i playoffs sa davvero essere di un livello che nessuno potrà mai riuscire a raggiungere. Alla fine, hanno vinto ancora loro. Ancora perchè da quel diciassette dei Celtics, i rivali Lakers non sono affatto distanti, ritornano a due lunghezze di distacco, e possono sentirsi ulteriormente motivati nel cercare di vincere ancora, mirando come obbiettivo proprio quella rivale più titolata di tutti gli altri nella Nba.


I Lakers, nonostante la loro fama di squadra perennemente in grado di provare a vincere il titolo, sono andati contro tutti i pronostici. Ci sono andati senza Shaq, sostituito da un bambinone troppo cresciuto per il quale Kobe aveva chiesto lo scambio (ricordate? avrebbe voluto Kidd al suo fianco, al posto di Andrew Bynum...), con il criticato Mitch Kupchak al posto di Jerry West, passando per la maturazione agonistica definitiva di Kobe in un momento che pareva senza direzioni precisa da intraprendere, prima di potersi definire una contender: prima di oggi c'era solo il Bryant Show (carina l'assonanza con Brian Shaw, che sull'argomento titoli in maglia Lakers può esprimere un'opinione o due...), ed un quartetto di giocatori impauriti per i potenziali errori che avrebbero potuto commettere dinanzi al leader del branco, il quale ogni volta che ne aveva l'occasione non mancava di dire due paroline pesanti al malcapitato di turno, e, peggio ancora, andava (lo fa ancora, non preoccupatevi...) direttamente a parlarne con coach Phil Jackson, innescando la classica serie di battutine mirate, tra il vedo-non vedo, a giocatori che avevano bisogno di essere motivati attraverso le indelicatezze pronunciate davanti ai media, tipiche dell'allenatore più grande di sempre. Sì, ora possiamo anche dirlo con certezza, Phil Jackson è il più grande coach della storia del gioco, ed ha fatto quello che nessuno era mai riuscito a fare, superando una leggenda che pareva intramontabile ed irraggiungibile, quella dei nove titoli di Red Auerbach. Jackson, tra Bulls e Lakers, è arrivato a quota dieci Larry O'Briens, un numero di peso ben diverso se inserito nel contesto del basket di oggi, dove c'è la free agency, dov'è stata introdotta la tassa di lusso, dove i giocatori assomigliano più a mercenari che non a cestisti professionisti (e professionali), impedendo di fatto la possibilità di mantenere un nucleo costante negli anni, contrariamente a quello che accadeva trenta o quarant'anni fa. Jackson ha saputo vincere con Jordan e Pippen, con Shaq e Kobe, con Kobe, Pau e Derek. Ed una delle immagini più belle delle Finals, è stata proprio l'espressione soddisfatta dell'head coach, assieme al suo cappellino giallo con la X viola stampata davanti (che sapeva un pò di Spike Lee e Malcolm X, eh...), a simboleggiare un'impresa che definire storica non rende a sufficienza l'idea.


E' stato il primo titolo, invece, per due giocatori che lo meritavano, Pau Gasol e Lamar Odom.

Il catalano, giunto a L.A. in pacchetto regalo da Memphis per quello che ancora oggi è un volere del tutto misterioso da parte del GM Chris Wallace (indirettamente questo trofeo è anche suo...), è la rappresentazione tecnica più pulita del basket moderno, un atleta che sa gestire la palla come una guardia nonostante l'altissima statura, che sa utilizzare il piede perno senza fare passi come fanno tutti gli americani, che una volta era chiamato GaSoft, perchè si faceva mettere sotto da tutti ed era l'equivalente difensivo di una mozzarella, che nella gara decisiva ha finalmente mostrato carattere, e, probabilmente fortificato nell'animo dal trofeo così vicino, è riuscito a difendere alla grande su Dwight "Superman" Howard.

Il newyorkese Lamar, invece, era arrivato qui solamente come merce di scambio per Shaq, tolto da una giovane e promettente Miami con gli stessi disagi provati da un gatto quando gli si fa cambiare abitazione, punzecchiato all'inverosimile da Jackson in tutti questi anniper la sua volontà altalenante, giocatore che accende poco e spegne tanto, ma che quando accende sa essere come nessuno è mai stato, un play che sa giocare quattro ruoli, con tiro da fuori (novità!), gioco in post e movenze in entrata agili ed armoniose.






Primo titolo non è, invece, quello di Derek Fisher, che in questa edizione giallo-viola si è preso le responsabilità un tempo di competenza di Robert Horry: via Big Shot Rob, dentro Big Shot Fish, che ha vinto il quarto anello pure lui da protagonista (eh sì, prima di andare a Golden State e Utah lui qui c'era già...), decidendo sostanzialmente da solo la decisiva gara 4, o pivotal game, come dicono dall'altra parte dell'oceano. La fotografia delle finali, dovessimo sceglierne una su tutte, è la sua espressione soddisfatta dopo la tripla decisiva per raggiungere un mortifero 3-1. Aveva lasciato Los Angeles da free agent, perchè si pensava che fosse terminata un'epoca e che la squadra andasse smembrata per poi essere ricostruita attorno a Kobe, lui era tornato chiedendo il permesso ai Jazz di essere lasciato libero, non per cercare altra gloria, ma perchè la figlioletta aveva bisogno, per una grave malattia poi fortunatamente risolta, di un'ospedale attrezzato come quello di Los Angeles, che gli garantisse le migliori cure possibili.

Una parola, anche di più, pare giusto spenderla anche per i perdenti, ovvero quegli Orlando Magic la cui presenza a queste Finals era del tutto impronosticabile, e che se non altro sono riusciti a vincere la prima gara di finale della loro storia, dopo aver terminato la prima esperienza con un cappotto al passivo per mano di Houston, nell'oramai lontano 1995. Ai ragazzi dell'apprezzabile Stan Van Gundy va il grandissimo merito di essere arrivati all'atto conclusivo percorrendo una strada più difficile rispetto a quella dei Lakers, arrivando a battere Boston in sette partite, pur senza Kevin Garnett, vincendo la partita decisiva fuori casa, e soprattutto mettendo la parola fine a tutte quelle maledette speculazioni sulla serie finale "voluta" dalla Nba, Kobe vs Lebron, con quest'ultimo ancora una volta troppo solo per riuscire nell'impresa, e troppo frustrato (ed immaturo) persino per riuscire a dare la mano agli avversari al termine di quella gara 6 nella quale Orlando aveva sgominato quella che pareva essere la corazzata incontrastabile della Eastern.
E' stata la finale che ha consacrato agli occhi del mondo un altro non americano, Hidayet Turkoglu, per tutti Brother Hedo, confermatosi giocatore dotato di ghiaccio al posto del sangue, capace di mettere un altissimo numero di tiri decisivi ed altamente infiammabile negli ultimi cinque minuti di qualsiasi partita, e che ora uscirà dal suo contratto in cerca di uno stipendio ancora più alto, che i Magic sono disposti a dargli nonostante il cap ristretto pur di mantenere intatto questo nucleo di giocatori.



Così così, invece, Dwight Howard e Rashard Lewis. "Superman" è entrato in Finale molto tardi, ed ha dimostrato di non essere ancora maturo a sufficienza per affrontare questo tipo di situazioni, cadendo nelle varie trappole difensive dei Lakers, incapponendosi nel tirare seppur triplicato ed ancora acerbo nella gestione tecnica dei falli; di fatto, quando la palla gli è arrivata con i tempi giusti e lui l'ha restituita fuori con altrettanta solerzia, il gioco perimetrale su cui sono fondati i Magic è tornato lo stesso che aveva affondato Celtics e Cavs. Per Lewis la serie è stata mentalmente in salita, nel senso che ha giocato bene solamente un paio di partite scomparendo letteralmente dalle altre, non lasciando traccia alcuna di quel grande giocatore che aveva disputato degli eccellenti playoffs, dimostrando se non altro che le pesanti cifre versate sul suo conto corrente non erano scritte a casaccio.
Benino, invece, Courtney Lee, che i playoffs li ha giocati complessivamente molto bene, così come aveva giocato altrettanto soddisfacentemente la regular season, che in finale ha sofferto tantissimo il fatto di dover marcare, a tratti, proprio Kobe, facendosi infilare da ogni angolo, ma che ha dimostrato una cosa molto importante: anche nella Nba di oggi c'è spazio per i giocatori preparati, quelli che vanno per quattro anni al college ed imparano i fondamentali, giocatori magari non stellari, ma concreti quello sì. Se le votazioni per il rookie dell'anno comprendessero anche i playoffs, non c'è dubbio che quel premio Lee l'avrebbe vinto a mani basse.

Ed ora, in un amen, ci ritroviamo davanti ad un'estate di pausa (che palle!), già pronti a vedere come andrà a finire il prossimo draft (o meglio, a vedere chi sarà scelto dopo Blake Griffin, che ha già scritto Clippers nel suo futuro...) e quali saranno i movimenti del futuro mercato, in attesa di capire se davvero Shaq andrà a casa di Lebron, se i Magic sapranno ripetersi, se la sete di vendetta di Garnett frutterà un'altra finale a Boston, e se Kobe & Phil decideranno di dare l'assalto ad un altro three peat.


Tornando invece un attimo alla vittoria appena ottenuta dai losangeleni, crediamo che sia proprio questo a rendere speciali gli sport americani: passare parte dei playoffs a sperare che una squadra perda per vederne vincere un'altra, (il sottoscritto, per intuibili motivi avrebbe preferito l'avanzata dei Rockets), ed una volta digerita la sconfitta comprendendo la superiorità di un team sull'altro, rendersi conto, vedendo festeggiare Zen, Kobe, Fish, Pau, Lamar e compagnia bella, di essere ugualmente felici, e che in fondo è bello riuscire a dare credito ad ogni impresa sportiva di si può essere testimoni, pur avendola seguita dal divano di casa, anche ad una squadra che risulti, in condizioni normali, antipatica. Non importa quanto si possa provare a detestare una squadra americana, o almeno per chi vi scrive funziona così, alla fine la conclusione è sempre la stessa, e si riesce a provare piacere per chiunque si veda recapitare, al triplo zero del cronometro della gara decisiva, maglietta e cappellino che testimoniano l'avvenuta vittoria del trofeo più importante.


Onore ai vincitori (ed ai vinti, anche, ci mancherebbe...)
Per il resto restate sintonizzati, in fondo non manca poi così tanto alla fine di ottobre.

lunedì 15 giugno 2009

Il pezzo forte - MotoGP 2009 #6

Può essere che tra dieci anni Casey Stoner, Jorge Lorenzo o il magnifico Niccolò Canepa avranno vinto più di Valentino Rossi. Più corse, più mondiali. Può essere che se Mick Dohan e la sua corazzata avessero corso due o tre stagioni in più oggi Valentino avrebbe vinto qualcosa meno invece di trovarsi a competere col solo Sete Gibernau, buono solo per alimentare rivalità sulla carta. Può essere. Può essere che Agostini fosse davvero più bravo, contestualizzando il tutto in altri tempi, altre corse, altre tecnologie, può essere che fosse più coraggioso perché il TT lui lo aveva in calendario come tappa del mondiale mentre Rossi dice che non lo farà mai. Può essere.

Ciò che è certo è che Valentino Rossi ieri ha dato ennesima dimostrazione di classe, superiorità, freddezza, esperienza. Ha vinto l'ennesimo duello 1vs1 della sua carriera (quelli persi si contano su meno di due mani), il 99° GP, ha steso Chupa Chups con una manovra che ci ha riportato a un pilota fresco, che non fa calcoli sulla classifica, sprezzante, coraggioso. E bravo. Anche Randy Mamola era bravo e coraggioso, ma in una manovra del genere sarebbe finito per i campi.

Dopo la pausa forzata al Mugello causa vacanzina toscana ricca solo di pioggia e bestemmie mi ritrovavo davanti alla TV per una gara che, di nuovo, mi fa imprecare contro l'elettronica e che appena perde Casey "enterogermina" Stoner (voto 8 vista la stoica difesa dalla cacarella e del podio) resta un monologo Yamaha che diverte i piloti coinvolti ma non esalta il pubblico. Niente a che vedere con il Laguna Seca di un anno fa tutto staccate e sorpassi. Per fortuna nella domenica di sport c'è subito un Sud Afirca-Iraq che non lesina emozioni nell'esordio della Coppa delle Confederazioni (del resto l'altra mica la chiamiamo World Cup).

Pazienza. Anche perché gli ultimi due giri sono da favola. Jorge "ecco perché dopo l'incontro a Federer danno un Rolex e a me un lecca-lecca" Lorenza si merita un 10 comunque, grande gara di controllo, studi, eccellente nel rimettersi davanti a Rossi quando conta. Il fatto di essere spagnolo e di aver visto per mesi, qualche anno fa, il suo compatriota Gibernau perdere tutte le sfide all'ultimo giro con Rossi (tranne due forse) non lo aiuta a capire che il Patacca non va mai sottovalutato.

Penultima curva, Lorenzo stacca bene, Rossi non stacca proprio, esce dalla scia, attacca con una ripresa che neanche il Ciao dei bei tempi, si inchioda davanti a lui, tiene la moto, frena e gira verso il traguardo. E' un capolavoro di istinto e bravura, è un gesto magnifico che stende il povero Lorenzo. Guido "di moto ne so una sega ma in geografia sono un fenomeno" Meda ci dice che è il più bello della sua carriera, e lo fa dopo aver confuso la provenienza di Lorenzo con il posto in cui si trova il Montmelò... eppure era là. Il catalano... il maiorchino... il talebano". Ad ogni modo Guido "se dico scatenate la bagarre in vece di scatenate l'inferno sembro un intellettuale" Meda attenderà il prossimo sorpasso per dire che è il più bello di sempre. Lui è fatto così.

Ciò che importa è che il Patacca si porta a casa un 10, trionfa e vola a 106 punti. La cosa bella, dopo 6 gare, è che tre piloti sono a 106 punti, si spartiscono un bottino dopo l'altro, hanno due vittorie a testa. Lorenzo a fine gara alza il pollice in segno di ok, ma si vede che lo metterebbe volentieri in bocca e comincerebbe a piangere come un bambino a cui hanno sottratto la figurina dell'Ancona Calcio 1983/84 e non riesce a completare l'album Panini.

Questo giro non c'è molto da fare, solo sperare che il Mondiale, elettronica o meno, prosegua su questi binari. Il resto non può essere giudicato. Andrea "non arrivo sul podio neanche se corriamo in 3" Dovizioso si becca 6.5, ma nell'inutilità del trenino dietro che regala vere emozioni solo per... il 12° posto non sconfigge nemmeno uno Stoner col pannolino. Canepino: un altro 9 sulla fiducia per questo immenso talento, sfortunatissimo nel giungere 16°. Si darebbe ai rally, ma con 4 ruote pensa sia troppo facile.

Marco "devo fare le scelte al fantasy ma non trovo più Favre" Melandri (voto 5) torna sulla terra e finisce dietro. Sete "mi hanno consigliato di smettere ma valgo ancora tanto" Gibernau (voto 3) chiude al 15° posto prendendo un punto d'oro... ma è ancora dietro Canepino. Ad ogni modo Sete sta frequentando uno psicologo che gli avrebbe consigliato di smettere: ne va del suo amor proprio. Gli abbiamo chiesto se passa il numero dello specialista a Meda. Ne va della nostra salute.

Nel frattempo, mentre attendiamo che il russo dica la propria sulla magnifica serie di Stanley Cup e Alvise, senza esagerare, incensi la vittoria dei Lakers, ci auguriamo che la MotoGP non faccia la fine della F1 tra litigate e chiusure. Se no ci tocca chiudere anche ECT.

See Ya!