mercoledì 30 gennaio 2008

La NBA di Gavino

Inizio con il profilo delle prime squadre che mi sono venute in mente. Non aspettatevi niente di sensazionale, c'è qualche banalità qua e là, ma volevo fare un quadro un pò completo, anche per stimolare commenti.
Però giuro che su Turkoglu ho scritto prima della famosa bomba e di Korver prima dei commenti della coppia Buffa-Tranquillo. L'approccio è quello di vedere squadra per squadra cosa manca per arrivare al titolo o, per quelle più deboli, per arrivare a giocarsela. Ciao a tutti e buona lettura.

Orlando

Ottimi lunghi, guardie scarse. Le posizioni 3, 4 e 5 sono già fatte. La 1 e la 2 sono da rifare, panchina intera (Cook, Evans, Foyle, Garrity, Arroyo, Dooling) compresa. Bogans va bene, ma dal pino. Queste le lacune, passiamo ai punti di forza.
Il bestione fa impressione e mi ricorda un altro centro che avevano i Magic qualche anno addietro...se impara qualche movimento decente in post basso e a trattare un pò meglio la palla, non lo ferma più nessuno. Invece adesso è squassante ma incompleto. Molto dipende da quanto si può adagiare sulla sua potenza...perché ho l'impressione che nelle serie di playoff, un buon coach possa tirare fuori i suoi difetti, con una difesa di squadra ben congegnata e un difensore esperto tipo Kurt Thomas, per intenderci.
Passiamo a Lewis, quel contratto è una follia che secondo me pagheranno a vari livelli: equilibri di spogliatoio, agilità sul mercato, rapporto efficacia/soldi incassati dal ragazzo ecc. un contratto pesante bisogna avere le spalle per portarselo dietro e secondo me Lewis non ce le ha. Comunque avevano bisogno di cominciare a migliorare in maniera decisa e certo hanno preso il tipo di giocatore giusto, poi chi vivrà vedrà...
Poi il turco: non è una stella riconosciuta, ma per i Magic lo è nei fatti. Eccezionale collante: davanti con le sue doti di regia, di cui i Magic hanno tanto bisogno, e dietro in difesa con perspicacia e tecnica. Ad Orlando faranno bene a tenerselo stretto molto a lungo, perché sembra fatto dal sarto per questa squadra, e mi fa piacere perché Hedo è simpatico...
Chiudiamo con l'allenatore: Stan Van Gundy. Mi sembra la persona giusta al posto giusto, una squadra che vuole diventare una contender, tanto per cominciare, deve mettersi nelle mani di uno che la squadra la prepara seriamente. In più lui ha buone doti relazionali mi pare, che ha dimostrato anche a Miami, dove presentava una squadra compatta, che sfruttava bene i giocatori a disposizione.

Memphis

Partiamo dal manico. Iavaroni non è male: mi sembra uno che sa il fatto suo e secondo me lo vedremo allenare in Nba per un bel pò. Visti giocare, i suoi danno l'impressione di avere un impianto di qualità, ma anche di mancare di intensità nelle piccole cose che ti fanno vincere.
Stando al record è una delle peggiori squadre della lega, ma guardiamo chi c'è dentro: Conley non lo conosco, però mi sembra piccolino, ma solido. Gay è un fenomeno in rampa di lancio, anzi è già partito, si salvi chi può. Se non lo è già, diventa uno dei primi trenta della pista a breve. Dipende solo da lui perché gli altri non lo possono fermare.
Miller secondo me è uno dei giocatori più sottovalutati, in difesa è scarso, ma in attacco è fantastico. Come è già stato detto, se fosse a Phoenix sarebbe una cuccagna. io adoro i giocatori che migliorano i compagni, e ora lui lo è compiutamente.
Poi Gasol: tecnica fantastica, ma voglia di vincere poca. mi da l'idea di uno che preferisce godersi la vita piuttosto che penare per la pallacanestro, e certo avrebbe le sue ragioni...quanto a Darkone, il suo problema è che pensa di essere fortissimo ed in grado di giocare per davvero quando decide lui, il problema per la sua squadra è che non è garantito che si decida mai.
Lowry mi piace, è pieno di difetti, però penetra bene e secondo me sette-otto anni di nba almeno se li fa. Swift non mi pare abbia l'intelligenza di Nash, ma a tirare giù rimbalzi non è niente male. Mentre Warrick non è molto alto, è gracilino in difesa, ma ha un buon valore come realizzatore.
Insomma un sacco di gente con poco orgoglio ma parecchio talento e la mano sapiente di West si vede.
Se Wallace ha imparato a non fare i danni che ha fatto a Boston, con uno scambio che apporti qualche giocatore di pepe, un leader, questa squadra può volare presto. Il punto è capire chi deve andare via, e la cosa strana per una squadra dal record così povero è che non saprei di chi privarmi se fossi in Wallace.

New York

Ok, è come sparare sulla Croce Rossa. Thomas ha dimostrato di essere un microcefalo totale. Aveva fatto fallire la CBA, ci sta provando anche coi Knicks con tutti i mezzi. Ma se a New York erano disposti a spendere così tanto per degenerare in questa maniera su tutti i fronti, perché non hanno chiamato me? prendo meno, e probabilmente ne capisco di basket più di Thomas. Randolph e Curry insieme? ma si può? E dopo che si accorge (lui) che sono troppo simili, tende comunque a usarli assieme durante le partite...mah!...
In più a me sta sulle balle dai vecchi tempi e si è sempre dimostrato una persona dai brutti sentimenti. Ha fascino, certo, ma è una persona infida.
Tra le mille cose: Prima era la squadra di Steph, poi era di Eddy, adesso è di Crawford...così i giocatori perdono la fiducia nel coach, che deve essere l'ingrediente principale per una squadra così, fatta con i piedi, ma al limite con giocatori che si potevano trovare emotivamente tra loro, come a Denver. Con la quale non a caso l'anno scorso...
Comunque, finché c'è Thomas, una garanzia per le altre ad est.

Utah

Mancano pochi pezzi per arrivare a potersi giocare davvero il titolo: un centro titolare diverso da Okur innanzitutto, al di là del rendimento di quest'anno. Il problema dei Jazz è la difesa: mi sembra che serva di più un intimidatore che sappia rendersi utile in attacco con intelligenza, piuttosto che un tiratore dalla lunga che in difesa non è forte né in uno contro uno né in aiuto. non è scarso nel complesso, ma ci vuole qualcosa di più, anche in termini di personalità. Okur sarebbe perfetto se dovesse uscire dalla panchina. Il lavoro che Okur dovrebbe fare dietro, lo fa Kirilenko, quando è di luna buona, ma sul russo non farei più di tanto affidamento.
Altra pecca è lo spot numero 2: dai tempi di Hornacek i Jazz non hanno trovato una soluzione decente. Brewer? non credo. avevano Raja Bell o sbaglio? ci vorrebbe uno come lui. Intanto lo scambio che ha portato Korver è stato ottimo, quello è un tiratore pazzesco e credo che lo vedremo segnare tiri decisivi nei prossimi playoff (contiene gufata involontaria). Altra necessità è un sostituto accetabile per Williams, Hart è uno dei peggiori giocatori della lega.
Quasi dimenticavo: meglio Williams o meglio Paul? io preferisco il primo ma è una questione di gusti, sono sullo stesso altissimo livello, Paul è molto maturato come gestione della squadra.

Eating for sport (Il dilettante)

Anche io ho letto il libro di John Grisham (foto sotto), ma non voglio mettermi qui a contestare i giudizi che per la rete girano tra tutti quegli appassionati i quali, veri protagonisti di uno sport ormai solo pugni e dilettantismo, si sentono finalmente considerati e, il tutto, grazie ad una delle penne più celebri e lette del pianeta.

Magari ne faranno anche un film, così l'orgoglio salirà finalmente, e giustamente, a livelli mai raggiunti da questi ragazzi abbandonati alla loro passione su campi di periferia. Più improbabile un film tratto da un libro di Giampiero Mughini (foto ancora più sotto), uno che scrive solo per sé stesso e trova da pubblicare solo grazie a un passato di comunista quando il comunismo era di gran moda (oggi tira di più fare gli anarchici, diciamocelo). Mughini è il classico intellettuale che ancora non si capisce su cosa cerchi di illuminare la gente: Elisabetta Canalis (foto sempre più sotto, si distingue dal Mughini per via della camicia) non ha bisogno di Mughini per essere illuminata, è già piuttosto guardabile di suo. Il calcio? E che ne sa Mughini? Potrebbero chiamare un qualsiasi Francis Azazelli che ne saprebbe certamente di più senza tutte quelle offese alle sorelle degli spettatori (e magari qualcuno di loro ha pure una sorella proprio tra il pubblico) che tanto fanno audience oggi, nel Paese delle fette di mortadella e le bottiglie di spumante in Senato.

Noi affondiamo, loro fanno i pagliacci. E vorrebbero convincerci a esultare con loro. O che magari Mughini è un illuminista. Citando qualcuno di più letto verrebbe da dire che "hanno le facce come il culo".

In ogni caso, parlavamo di altro, ossia di John Grisham e del suo Il Professionista, libro che da queste parti è già stato ottimamente descritto e sul quale non mi dilungherò. Non mi dilungherò per il semplice motivo che chi doveva parlare ha parlato e, in seondo luogo, se non si è dilungato lui a scriverlo perché dovrei perdere tempo io a commentarlo? Non si arriva alle trecento pagine nemmeno con la copertina, la controcopertina, la nota dell'autore, i ringraziamenti e l'indice; i caratteri con cui è stampato, poi, sono più grandi di quelli del titolo impresso sopra al magnifico logo dei Panthers Parma.

Fatto sta che se chi dalla prossima primavera indosserà di nuovo casco e paraspalle per affrontare squadre dai nomi improbabili come Glaidatori de Roma, Mriners del Lazio e i mitici Gechi di Sassulo, ha amato tutte le citazioni di campo e spogliatoio, gli appunti che volevo fare sono essenzialmente due, da dilettante, che ama mangiare e che, per via della schiena, anche volendo non avrebbe mai potuto giocare a football.

Il primo, su cui torneremo presto, forse, è il fatto che il traduttore indichi il ruolo di safety al maschile. Giusto? Sbagliato? Non lo so, ma d'ora in avanti anche io voglio scriverlo così. intanto lo differenziamo dalla segnatura da 2 punti, la safety appunto, e poi perché è il ruolo di uno sport dove sono tutti uomini e non vogliamo relegare solo loro a fare le femmine.

Anche il caro Roberto Gotta usa il maschile. Perché io no? Forse qualcuno può avanzare la protesta sul fatto che vi sia la mezzala nel calcio, o la guardia nel basket, ma questo non è un post di opinione, non sto chiedendo suggerimenti. Sto dicendo che il safety, che suona da schifo, è meglio di la safety e distingue benissimo due diversi fattori; un ruolo e una segnatura da due punti.

Secondo aspetto, che ci riguarda più da vicino, è la descrizione delle specialità culinarie emiliane. "Per uno cui piaceva il MacDonald's, i sapori risultarono stupefacenti. Rivestirono ogni papilla gustativa e lo spinsero a masticare più lentamente possibile. Sam stava prendendo una fetta per sé e Nino versava altro vino. <E' buono?> domando a Rick.


E ti credo. Questo è il punto. Il libro può interessare anche chi non gioca, anche chi come me ha una vita di atleta fallito prima ancora di cominciare alle spalle. Ma l'arte della tavola, cribbio, quella no. La descrizione dei gusti e delle papille gustative che raggiungono l'orgasmo ad ogni assaggio è ciò che ci riempie la testa delle migliori fantasie perché noi che ci presentammo attaccanti e finimmo a rubare il posto al portiere titolare, ci siamo resi conto subito che il nostro destino sarebbe stato quello di finire su un divano a bere birra e mangiare come porci mentre i gladiatori si battono (anche per noi). Certe fatiche lasciamole ad altri, e pazienza se ogni tanto ci scappa un hamburger di MacDonald's piuttosto che una bella tagliata a Montalcino innaffiata da un rosso che ti fa buttare sotto la tavola a bestemmiare per tanta divina bontà.

Ecco, il punto è questo. Ci sono professionisti, amatori, tifosi e perditempo. Io, nonostante il lavoro, appartengo all'ultima categoria, quella che si ciabatta al caldo con birra e pop-corn guardando le partite. Quello che una buona trattoria prima del Super Bowl è la parte più bella dell'evento. Quello che sarebbe bello andare a vedere una partita negli States, ma non ha tutta 'sta fretta e poi vedere il Super Bowl mentre qua cala la notte ha il suo perché. Insomma, un dilettante, un amatore o, meglio, un amante che ama il buon cibo e che si rivede perfettamente nelle degustazioni di Parmigiano-Reggiano dell'opera di Grisham. Un momento di letteratura esaltante che ti apre lo stomaco e ti fa richiedere cibo.

Dopo Grisham ho preso in mano l'ultimo di Joseph O'Connor, da u mese sono fermo a pagina 60 tanto è pesante. Il buon Joe sta facendo il passaggio da piacevole scrittore a grande culo leccato dai peggiori critici letterari del pianeta, quelli che non ascolta nessuno ma che fanno la differenza. Come Mughini.

Joe, te lo dico da un po'. Lasciali perdere, il tuo scrivere da cronista, le tue frasi che scorrono via veloci, la tua ironia, i tuoi racconti, anche drammatici, che fotografano una vita reale, grigia, senza farci sentire pressati e senza dover fare i conti con un mattone sullo stomaco, riflettendo e ridendo al tempo stesso di quanto possa essere banale cercare di dare un tono anche a storie che vanno bene così. Te lo dico da un po', ma tu ascolti i Tòibìn, gli O'Faolain, i McCann, personaggi che trovano modo di essere letti solo recensendo un libro e finendo appiccicati sulla quarta di copertina dello stesso.

Ve beh, me che importa? Del resto io non scrivo e non gioco a football, ma mangio, e qui Grisham ha colto nel segno, in questa sua guida tascabile per turisti in Italia, dove si consigliano alcune belle città da visitare, alcuni ottimi piatti da assaggiare e alcune squadre che, volendo, possono essere seguite giusto per "the love of the game". Che di per se non è nemmeno poco se ci pensate. E' solo che anche noi amatori, noi dilettanti, avremmo bisogno di un nostro libro, che parli di come piuttosto che farci dar calci alle caviglie al sabato pomeriggio per la pizza del venerdì, stiamo in casa a mangiare come porci e guardare gli altri che si fanno del male. Il che ha un po' di sadismo, ma è la passione che ci spinge a tanto. E poi speriamo che nessuno si faccia mai veramente male.

In ogni modo, questo vuole essere l'anno che consacra la playmate del blog. Perché se togliamo le cose davvero importanti, come la famiglia, il lavoro e l'amore ci restano i ritorni di Devin Hester (foto a destra, quello con la palla in mano) e la speranza che la bettola in fondo alla strada sia aperta e pronta ad offrirci affettati, salsiccia e fagioli. E tanto vino.

Poi accendiamo la TV che comincia il Super Bowl.

PS: visto che dopo le bettole e i ritorni di Hester uno sguardo alla gnocca non fa mai male, quest'anno cureremo le playmate di ECT e, a dicembre, eleggeremo la migliore attraverso un referendum popolare nel quale, ad ogni ragazza, abbineremo un sistema elettorale e di governo (tedesco, francese, americano, inglese ecc...), così sapremo chi è la donna piaciuta di più e come votare alle prossime elezioni, sperando che aspettino il 2009, se no salta il nostro piano.

Inutile dire che, visto il successo avuto alla prima uscita, la copertina di gennaio è per lei: Carmella De Cesare in Garcia. Eccone un altro assaggio.


Ah, non chiedetevi cosa c'entra questo. C'entra come Mughini a Controcampo, la Canalis che parla con Mughini, Grisham che parla di culatello e io che parlo di sport: niente.

venerdì 25 gennaio 2008

MockDraft di gennaio - Il borsino dei nick.

La corrente opposta all' east coast time, l' ormai famosa west coast blog, ha fatto pervenire in redazione quest' oggi questo "pezzo" accompagnato da 2 pallottele intimidatorie, il sottoscritto, quale fondatore del blog, si prende tutte le responsabilità del caso e rende pubblica la missiva, senza apportare nessuna correzione, conscio del fatto che questo righe possano comunque recare malumori all' interno della east coast:

MockDraft di gennaio - Il borsino dei nick.

  1. China: prima scelta assoluta per l’orso carpigiano che dalle pagine della serie A annuncia di essere prossimo a convolare a giuste nozze. I Bears, che fino alla settimana scorsa lo volevano come mascotte, adesso ci fanno un pensierino anche come uomo-porta-borracce. Nonostante la notizia fosse nell’aria da tempo la conferma è arrivata come un fulmine a ciel-sereno per i separatisti che adesso sono nel panico più totale. Il sito di vendita on line dei Bears è stato preso d’assalto e il numero di contatti è triplicato nemmeno fosse il sito mlb hackerato da Youporn. “ Fortuna che sono arrivato per primo.” commenta un noto avvocato patavino..” il porta carta igienica con lo stemma di chicago era quello che volevo per far felice il mio moderatore preferito”.. “ ma ti sembra normale che non vendano niente di vagamente alcolico in quel sito? ..”replica nel panico il milanista compagno di sbronze. La Stefy ringrazia e comincia a far posto in cantina. Coraggioso

  1. Alvise: super rimonta per questo mastino della difesa a tutto campo che ha entusiasmato i numerosi tecnici e gli altrettanto numerosi appassionati più con la sua l’etica del lavoro e la sua abnegazione che con le doti naturali. Lo scatto felino avviene davanti ad una pizza, scarna di wurstel, al cospetto della giovine donzella sua compagna che le tenta tutte pur di farlo capitolare come l’orsetto di cui sopra. Lui schiva tutti i colpi e la sua difesa è degna del miglior Rodman. Nemmeno la mancanza del fido compagno Jack e i tranelli più subdoli gli fanno perdere l’aplomb... nonostante il brillante sia già al dito la cerimonia è rimandata a data da destinarsi e l’avvocato gongola della sua libertà mantenuta. Se supera anche la prova paternità con la stessa facilità si aprono per lui le porte del paradiso ( o dell’inferno se questo articolo finisce nelle mani sbagliate..). Democristiano

  1. Russo aka “lui a fighe noi su msn” : ecco una 3° scelta che sa tanto di scommessa. Si riprende dal lungo infortunio al ginocchio e dopo i 5 minuti della scorsa settimana, dove non ha siglato nemmeno con gli avversari in 9 o addirittura in 8, strappa al mister una nuova panca che gli fa esclamare ai suoi tifosi riuniti in chat “ ..l’ho messo in difficoltà..vedrete che tocca a me” il magnagatti dimentica di avvertire che le punte titolari a salute stanno messi peggio che un lebbroso al cospetto di Madre Teresa di Calcutta e quasi spinge gli eroi ad organizzare un improbabile trasferta nelle campagne vicentine.. trasferta che si sarebbe rivelata inutile e dannosa visti i miseri 20 minuti passati a rincorrere la palla. Breaking news: pare che adesso tocchi alla caviglia.. lui tranquillizza tutti “ al martedì si corre troppo...col cavolo che ci vado all’allenamento..domenica ci sono”. Tornerà in tribuna ad insultare i propri compagni o troverà ancora posto sulle scomode panchine in legno? Da questa scelta passano gran parte delle sue fortune avvenire al piano di sopra.. al momento si resta in cantina. Pancev

  1. Perantibus : 4° scelta per il papa boys che scende in maniera repentina nelle preferenze degli scout d’oltre oceano. Ancora sconvolto dalla deriva “puttanesca” presa dalla collega preferita, che non manca di timbrarne uno durante mitologiche feste a cui il nostro eroe non riesce a partecipare, si butta nello sport mancandolo completamente. Cambia disciplina annunciando a tutti che è stufo di correre.. “ma quando ha iniziato?” È l’unica riposta che si ottiene intervistando chi lo conosce.. Prova ad emulare il suo idolo a stelle e strisce in salsa alla matriciana ( foto di howe) ma tre nulli lo costringono in fondo alla classifica. Lui si giustifica tirando in ballo test psicologici sballati e questure che lo inseguono. Socialmente pericoloso



  1. Willo: anche per il play più lungo di tutti i forum un passo indietro nella classifica. Certo, il carico di aspettative derivato da Utopia 2008 è tanto , ma l’immobilismo di questi giorni ha fatto storcere il naso a molti addetti ai lavori. L’ex futura prima scelta paga l’azzardo di aver dato per scontato l’ok di alcuni storici pacconari di meeting marchigiani-veronesi così da mettere in dubbio l’intera riuscita dell’operazione. Il suo agente si sente sicuro “ non capisco tutte queste malelingue che mettono in giro accuse false e tendenziose. Utopia 2008 è quasi pronta.. tutti ci credono e lo dimostra il fatto che abbiamo appena firmato il contratto con sky per la trasmissione in paypperwiew..andrà in onda la posto della royal rumble”. Dovesse rivelarsi una bufala anche questo contratto ci sarebbero poche speranze di rivederlo nei primi dieci. Utopistico



  1. Teo: gli scuot vedono un po’ di rilassamento nell’allenatore padovano che, conquistata una casa con giardinetto (e relativo mutuo trentennale) fatta arrivare direttamente dal Granducato di Toscana la Teina, davanti alle feroci critiche della stampa quando viene raggiunto nel suo habitat naturale, appoggiato al bancone del bar, si limita ad alzare il bicchiere scuotendo la testa. La posizione cala proporzionalmente alla “garra” che ormai sembra essere sparita dal suo vocabolario se non nelle occasioni della schedule separatiste e ciò non soddisfa gli osservatori “ va bene che è solo regular season però di questo passo altro che po..si va direttamente fuori della lotteria”.Riuscisse a convincere la dolce metà a raggiungerlo all’altare il balzo in classifica sarebbe assicurato. Soddisfatto


  1. Aza: n.p. per il marchigiano che dalla sconfitta di Romo e soci in poi si è defilato dalla lotta tanto che nemmeno i wizard che sweppano Boston riescono a risollevarlo. Gli scuot di mezzo mondo setacciano i palazzetti europei per capire dove possa essere finito. L’ipotesi al momento più probabile è che al 16° punch si sia irrimediabilmente convinto che la violenza sia l’unica soluzione percorribile “in questo mondo di ladri” (cit.). Il fake di Aza aka Island non rilascia dichiarazioni e si limita ad un laconico ”c’era un mare di sangue, la testata l’ha presa proprio sul setto nasale..poveretta..come era ridotta male”. L’Artest delle marche rischia un lunga squalifica che gli comprometterebbe il grande salto. L’nbdl o al massimo la lega polacca sono dietro l’angolo se l’agente non riuscirà a mettere un freno al suo assistito. Illuminato


  1. Polpaol: stabile in fondo alla classifica con i suoi problemi di amiche e colleghe varie. Nemmeno i consigli illuminati delle persone che lo vedono precipitare nel baratro possono ormai nulla. Lui se ne strasbatte e continua imperterrito nella sua politica di accettare qualunque invito inutile e dannoso gli arriva da essere del sesso opposto salvo poi tediare chiunque gli capiti sottomano in chat.. I provini con le varie franchigie vanno a sud in modo irrimediabile e pare che da più parti arrivino pressioni per un suo secondo ritiro agonistico ma a tutti lui risponde “ non preoccupatevi..chiama lei..”. Ormai è sempre più simile ad un kobe qualsiasi dei playoff, ne mette sempre 50 ma le vittorie non arrivano mai. Un posto in curva non glielo leva nessuno. Telenovelas





Firmato: West Coast Blog, aka polpaol (ancora incapace di crearsi un account su blogger....)

martedì 22 gennaio 2008

East Coast Battle

Alla fine anche nel football ci sarà Boston contro New York. Un classico che domina le scene sportive americane da parecchi decenni, ma che ha visto quasi sempre giocarsi epiche battaglie nell’NBA, fra Celtics e Knicks, o ancor più nel baseball, con l’accesa rivalità fra Red Sox e Yankees. Stavolta sarà il football a fare da altare a questa eterna sfida tra la città più cosmopolita d’America e quella più europea, tra il fashion style della Grande Mela e l’old style della città che profuma di trifoglio.

Lo stadio di Phoenix, sede del Super Bowl XLII, sarà teatro della battaglia della costa Est, una sfida nella sfida fra due città che non si sono mai amate, e che negli anni hanno fatto di tutto per avere la meglio sull’altra, ma sarà anche la sfida fra il Bene e il Male, che potrebbe riempire di inchiostro milioni di pagine e far rievocare scontri storici dello sport a stelle striscie.

Si parlava tempo fa di Cerentola, di uno spazio sempre più ridotte per le grandi sorprese, e invece proprio il football, nel finale di stagione, ci ha regalato la grande storia da raccontare, i deboli, sfavoriti, sbeffeggiati Giants, guidati da un quarterback criticato dalla stampa locale e nazionale, dai propri tifosi e anche da alcuni compagni di squadra, che ha sempre vissuto all’ombra del fratello più grande, più famoso e più bravo, con un coach che non sapeva più dove nascondersi, dopo le feroci invettive lanciategli in questi due anni di fallimenti, con un tightend fortissimo, ma ingombrante fuori e dentro il campo, con una lingua tagliente e mai ferma, ai box per un grave infortunio e con un lineman veterano, arrivato ormai alle ultime cartucce da spendere prima del ritiro.
Sembrava la solita polveriera newyorkese, pronta ad esplodere in qualsiasi momento, soprattutto se alimentata dall’ennesima delusione data da una precoce eliminazione ai playoff, che tutti si aspettavano, visto che i Giants dovevano giocare una trasferta difficile in quel di Tampa, contro una difesa di ferro e un attacco temibile. Eli Manning non aveva certezza, aveva solo dubbi, ma la sua partita e la vittoria netta contro i Bucs ha acceso una luce in fondo al tunnel e lanciato la squadra verso la gloria, verso la consapevolezza di poter essere finalmente parte di un sogno.
Così è arrivata la partita perfetta contro i Cowboys, al Texas Stadium, di fronte ad una squadra forte ed ambiziosa, con la testa già proiettata verso la sfida contro i grandi Patriots.
Manning calmo e concentrato, pulito e senza errori, due ricevitori che hanno dimostrato di essere delle star, una difesa che non ha concesso scampo a nessuno, mettendo pressione al quarterback, togliendo spazio ai ricevitori e controllando la sfuriata del running game.
Un’altra vittoria, che ha portato alla terribile sfida nella Frozen Tundra contro l’immortale Favre, in un clima tremendo, dove lo sport si trasforma in leggenda e dove i Giants sono diventati definitivamente il destiny team.
Eli resta praticamente perfetto, la difesa non lascia spazio all’attacco di Green Bay, ma è il finale da cuori forti a dare la perfetta conclusione alla gara, due errori del kicker, un’altra chance in overtime, più difficile, ma stavolta Tynes centra i pali e nel silenzio del Lambeau Field si sentono solo le grida dei Giants.
Ora non resta che una partita, la Partita, quella per cui molti darebbero l’intera carriera, pur di giocarla, ma soprattutto vincerla. I Giants ci sono, Eli c’è, ad un anno di distanza dal fratello maggiore, che vincendo si è tolto un peso immenso dalle spalle, arrivano da sfavoriti, come in tutti questi playoff, ma dall’altra parte c’è un avversario che vuole entrare nella storia, in quella indelebile lista che comprende solo gli immortali.

I New England Patriots dominatori di questo lustro, arrivati a giocarsi l’ennesimo Super Bowl, diverso da tutti gli altri perché pronto per essere il degno finale di una stagione perfetta. Nessuna sconfitta, un percorso netto, facile in molti punti, difficile in altri, ma sempre superato con una sicurezza che non ha eguali, una stagione da record, guidati da un quarterback mai sazio, da un ricevitore che ha voluto dimostrare di essere il migliore, da un coach che non guarda in faccia nessuno, ma che sa allenare come pochi, da un gruppo di veterani pronti a diventare miti prima del meritato riposo. I Patriots che hanno superato anche la giornata negativa del loro leader, che hanno saputo tirarsi fuori dalle insidie di una partita che poteva essere stregata, ma che sono al grande ballo e hanno tutto dalla loro parte.
Come tutti i grandi vincenti, sono diventati scomodi, perché vincono, e lo fanno con naturalezza, volendo dimostrare di essere superiori in tutto, anche con giocate poco simpatiche, ma che dimostrano l’estrema sicurezza nei propri mezzi. Molti tifosi delle altre squadre sono pronti a festeggiare una loro sconfitta, fregandosene della perfect season e della possibilità di essere parte della storia del football. Ci sono mille polemiche su questi Patriots, sul loro quarterback sbruffone e antipatico, anche se fortissimo, su quel ricevitore che fino all’anno scorso faceva finta di giocare ed invece quest’anno è stato il n.1, sul coach che vince troppo e lo fa in ogni modo, con ogni mezzo, su una difesa tosta, ma anche sporca, ai limiti del legale, ma la squadra sembra non accorgersene, vive in un limbo, pronta ad esplodere alla fine del Super Bowl, da vincenti.

Siamo quindi alla battaglia tra il Bene e il Male, con gli schieramenti dentro e fuori dal campo pronti a darsi battaglia, con mille sfide nella sfida che potrebbero infiammare la partita di Phoenix e, speranza di molti appassionati, regalarci una partita vera, non un’esibizione di football da parte dei più forti.
Le carte da giocare da parte dei Giants per mettere in difficoltà i Patriots sono sul tavolo, Eli dovrà giocare ancora una volta senza pensieri, concentrato pulito, la difesa dovrà essere super, togliere sicurezza a Tom Brady e spazio alle varie armi dell’arsenale offensivo in mano a coach Belichick, molti non si aspettano la vittoria di New York, vogliono una partita, chiedono equilibrio, sperano nei Giants.
New England dal canto suo non ha bisogno di aiuti esterni, deve giocare il suo football per chiudere il cerchio della stagione perfetta. Il passo è quello più difficile, ma questa squadra è stata abituata a vincere e ha la consapevolezza di essere attrezzata per farlo, trovando sempre la soluzione giusta per ogni problema, con l’attacco più completo della NFL e una difesa che sa sempre come trovare il punto debole degli avversari.

Due settimane di attesa, tante parole, tante polemiche e poi il football, il Bene contro il Male, i deboli contro i forti, la battaglia della East Coast, chiamatela come volete, ma la speranza vera è di assistere ad una vera partita di football.

martedì 15 gennaio 2008

Dio non si affaccia più

Fosse servito a qualcosa, domenica sera avrei fatto un buco sul soffitto della mia camera, con la speranza che, se dio non fosse stato nei paraggi del Texas ma in vacanza in Italia, magari avrebbe trovato il tempo di affacciarsi da casa mia per vedere la partita dei "suoi amati" Cowboys. Ma temo che non sarebbe comunque servito a nulla, se non a far cadere di sotto mia nonna, che alla sua età non ha propriamente bisogno di cadere per rialzarsi; cosa invece che si dice dei "campioni" quando perdono: bisogna cadere per rialzarsi e questa squadra sono due volte che cade negli ultimi due anni alla prima partita del "dentro o fuori", prima o poi si rialzerà.

Purtroppo i sintomi della malattia erano apparsi già da un mese: attacco sempre più incostante e pressione della DL in calando si erano aggiunte alle lacune già presenti (secondarie e gioco di corsa) durante la stagione, ma che erano state degnamente mascherate e nascoste. Poi è come se dopo la partita contro GB (vinta e condotta ben oltre il punteggio finale di 37-27) si fossero spenti i motori e si sia viaggiato per forza di inerzia sino al termine della stagione e nel football se vuoi campare di rendita, muori giovane.

Domenica al Texas Stadium dio non si è affacciato, e se l' ha fatto, l' ha fatto per gettere qualche fazzoletto giallo qua e là: le penalità sono una delle ragioni principali di questa sconfitta, alcune veramente stupide come colpire un giocatore a gioco ormai da un' altra parte del campo, che hanno ucciso dei drive proprio nel momento in cui c' era bisogno di mettere punti a tabellone, hanno cancellato primi down e dato forza alla difesa avversaria. Le penalità giova ricordarlo fanno parte del gioco, addurle come motivazione di sconfitta non è segno di incolpare la malasorte o gli arbitri, ma è incolpare coloro che le hanno commesse. Come del gioco fanno parte i drop, è così che il tutto si può riassumere con questo breve stralcio di play by play:
  • 2-7-DAL 23 (2:23) 9-T.Romo pass short left to 82-J.Witten pushed ob at DAL 33 for 10 yards (33-G.Pope). PENALTY on DAL-70-L.Davis, Unnecessary Roughness, 11 yards, enforced at DAL 23 - No Play.
  • 2-18-DAL 12 (2:06) 9-T.Romo pass short right to 82-J.Witten to DAL 17 for 5 yards (33-G.Pope).
  • 3-13-DAL 17 (1:18) (Shotgun) 9-T.Romo pass incomplete short middle to 84-P.Crayton. Incomplete pass to Crayton after Romo scramble at the Dallas 30.
  • 4-13-DAL 17 (1:08) (Punt formation) 1-M.McBriar punts 45 yards to NYG 38, Center-91-L.Ladouceur. 25-R.McQuarters pushed ob at DAL 37 for 25 yards (50-J.Rogers).
Da quel ritorno di McQuarters è nato il drive che ha sancito il sorpasso definitivo. Poi ci sono stati i three&out dei Giants, e gli attacchi asfittici e pieni di falli di Dallas, ma la partita aveva preso già la sua piega, come i capelli la mattina dopo che ci hai dormito sopra per ore.
Sono venuti a mancare i big plays, specialmente negli ultimi drive, sono stati tentati, ma niente da fare, è venuto a mancare il gioco di corsa (che eppure ad inizio partita aveva messo qualche speranza nel cuore di un tifoso che aveva smesso ci crederci un mese fa), è venuto a mancare il gioco che potesse dare una scossa ad una squadra che lentamente si è lasciata trascinare verso la fine della partita, un turnover, una bella ricezione con tante yards after catch di T.O., niente.

Ora è già tempo di processi, più o meno sommari, c' era chi aveva già abbandonato la barca prima della sconfitta: Julius Jones "penso che non tornerò qui l' anno prossimo", il tifoso medio "penso che sei free agent e non t' avremmo fatto un offerta manco se ti mettevi in ginocchio.", c' è chi incolpa il Messico e Jessica Simpsons, se trombare facesse così male Buffon giocherebbe in C2 con il Verona l' anno prossimo (e io alla Juve al posto suo....) e A.C. Green sarebbe stato più forte di Karl Malone (il quale, en passant, ricordiamo fosse un ottimo cowboy in cerca di cavalle a casa Kobe....).
Iniziano già i discorsi che era meglio Parcell che con la stessa squadra di quest' anno sostanzilamente fece 8-8 e se Trapattoni co-allena in Austria e non il Chelsea un motivo ci sarà...qualcuno ora vorrebbe la testa di Wade Phillips, a parte che se proprio dovessi prendere qualcosa dall' ex Chargers, io andrei sulla figlia, e a parte che sembra un pò un bambolotto, non solo nell' aspetto fisico, ma anche nelle movenze un pò da sfigatello...a parte tutto, l' HC di Dallas ha dei grossi meriti nell' ottima "stagione meno un mese" della squadra texana, ha dato un' anima alla difesa 3-4 e penso che migliorando alcuni elementi e con un altro anno di pratica del sistema vedremo cose ancora migliori e ha gestito alla grande uno spogliatoio che già solo per la presenza di Owens è da considerarsi a rischio. Dare tutto nelle mani del giovane Garrett (peraltro ottimo nel suo ruolo di assistente offensivo) sarebbe un errore che probabilmente pagheremmo a caro prezzo.

Cosa dovremmo fare?! Innanzitutto continuare a credere in Romo, trovo davvero patetico attaccare il nostro QB ogni volta che si perde una partita, dimenticando tutte quelle che ci ha fatto vincere quest' anno, nella partita di Domenica ok, è venuto a mancare anche lui nei drives finali, però va detto che la linea (stanca perchè rimasta in campo oltre modo...) gli ha dato sempre meno tempo per lanciare e lui si è trovato sempre piu spesso a dover far volare la palla con le mani addosso e senza l' aiuto del gioco di corsa.
Poi dal draft pescare bene, basta con i LB/DE, ne abbiamo draftati a manciate negli ultimi anni, Ellis probabilmente non farà un' altra stagione ma è ora di dare spazio ai vari Carpenter o Spencer (e vedere finalmente se valgono), se no per cosa sono stati scelti a fare?! Pescare bene tra i RB, c' è molto materiale, qualcosa di buono ci arriverà sicuro, sperando che si faccia la scelta giusta (per una volta). Sistemato il gioco di corsa (il che significa anche mettere su una OL capace di aprire finalmente dei varchi, per la pass protection ci siamo, ma bisogno che si insegni ai nostri 5 ciccioni anche di aprire buchi) bisogna guardare alle nostre secondarie, in questo momento la voglia di buttare tutto nel cesso e ricominciare da capo in questo settore è tanta: via Henry, Williams, Reeves, via pure Hamlin (piu che altro è FA, chiederà un sacco di soldi, temo...meglio non darglieli), via tutti, terrei solo Newman, che comunque ha avuto una stagione sottotono, quest' anno tra gli FA ci sono ottimi e buoni nomi: Samuel, Trufant, Wilson i migliori, non tutti resteranno dove sono...uno di questi va preso. Altri vanno raggiunti in qualche modo.

Poi tra i WR prendiamo uno tra il Williams di Detroit, Fitzgerald, Ocho Cinco o Randy Moss, da affiancare a T.O., rubiamo Patrick Willis ai Niners, tanto loro non se ne fanno nulla di uno così forte, Merriman è un dopato di merda, ma se si dopano nel baseball per lanciare una pallina è giusto che lo faccia lui che deve ammazzare il QB avversario ad ogni snap e lo mettiamo nel lato opposto di Ware, voglio un NT da 400 libbre e con buon appetito, che per spostarlo devono chiamare la macchinetta da bordo campo (e la macchinetta voglio che sia guidata proprio da lui, vedi foto), visto che prendiamo un RB rookie, per farlo crescere con calma, davanti compriamo Larry Johnson che tanto ai Chiefs non vuole restare più.

A quel punto che ho fatto la squadra delle meraviglie, posso anche dare loro viaggi gratis in Mexico, se non riesco a vincere nemmeno così, prima cosa chiudo il buco dello stadio, così se dio ci vuole guardare inizia a pagarsi il biglietto come fanno tutti (che noi di favori non ne facciamo più), poi inizio a controllare le telefonate di Belicheat, magari viene fuori che telefona a Goddell e i due si fanno i filmini osè tra di loro, faccio scoppiare lo scandalo e mando i Patriots a giocare in Canada e gli rubo Brady. Ai Colts, li faccio partire da 0-5 per un paio di stagioni, delle altre squadre me ne frego, perchè tutto il resto è merda (cit.). Poi voglio vedere se non riusciamo a vincere.

E preso dalle manie di grandezza faccio la spia riguardo al fatto che è stata Miss Scarlett che ha ucciso il dottor Plum con il candelabro in Salotto, mi compro l' Etoile, il Taj Mahal e il Boomerang e per andarci devi per forza passare o per Parco della Vittoria o per il Viale dei Giardini, infine dichiaro guerra agli Urali dalla Kamchatka, come dite?! non confinano?? e allora?! io lo faccio e se non vi sta bene, do fuoco a tutto il gioco, manco fosse monnezza. L' anno prossimo l' obiettivo è uno solo, distruggere le armate verdi, non ci fermeranno...GO COWBOYS!!

sabato 12 gennaio 2008

Figli di un football minore

Dicono che il destino abbia già chiaro il percorso delle nostre vite, le quali vengono indirizzate in una piuttosto che un’altra direzione a seconda delle scelte che facciamo, delle decisioni che prendiamo. Altre cose sono scritte e rimangono scritte, no matter what. Si nasce con qualcosa dentro, si cerca di capire cos’è e si prova a svilupparlo. Se piace, lo si coltiva con dedizione e passione. Se non piace, basta metterlo da una parte.

Crescendo, non ho mai saputo resistere all’attrazione della cultura americana, ho capito che è un qualcosa con cui sono nato e con cui ero probabilmente destinato a convivere. Mi sono chiesto come mai il buon Dio non mi avesse anche messo al posto giusto, facendomi crescere in Texas mangiando bistecche a volontà, e facendo quella vita collegiale che avevo conosciuto attraverso fuorvianti produzioni televisive che tanto ci piace importare qui da noi. Forse voleva farmela conoscere da straniero, questa America. Forse, se fossi nato là, avrei odiato tutto e desiderato di venire in Europa, come spesso succede a qualche statunitense acculturato. Quindi, buon Dio, forse va bene così.

Non ho mai capito se il football fosse una naturale conseguenza, se fosse il punto di destinazione verso il quale tutti questi eventi e sentimenti si erano mossi, o se fosse semplicemente una cosa completamente slegata dal mio piccolo modo di pensare americano e capitata lì per caso, per offrirmi un’alternativa, per darmi qualcosa di nuovo rispetto a quella fuffa italica domenicale che crescendo diventava sempre meno sopportabile. Ciò non mi impedì di tifare per la Juventus con tutte le mie forze, in fondo da buon bambino italiano il primo pallone che vidi fu quello rotondo. Quel pallone, nel frattempo ammalatosi, l’avrei calciato via (forse per sempre, chissà) molti anni dopo, quando Lucky Luciano decise di portarsi via la mia anima innocente (nessuno ha portato via la tua, cretino, te la sei solo venduta) di fanciullo Platini-dipendente, facendomi sentire irrimediabilmente tradito ed imbrogliato.

Vidi qualcosa su Italia 1 quando ancora andavo alle elementari, non ne capii molto e la visione non mi divertì un granchè: ricordai per anni di avere visto delle persone scabinate darsi mazzate qua e là, di aver visto delle squadre che si chiamavano Denver Broncos e New York Giants e di aver persino tifato per i primi, solamente perché il telecronista (Guidone Bagatta, se la memoria non mi tradisce) sosteneva fossero sfavoriti rispetto agli altri.

Era stato gettato un sassolino che anni più tardi avrebbe fatto un’onda incontenibile. Non lo sapevo, ma era destino che andasse così.

L’avventura proseguì anni dopo, quando i miei intraprendenti nonni decisero di fare i pionieri installando Tele+ nella loro abitazione. Mi intrufolai in casa loro durante qualche freddo pomeriggio di gennaio, facevano delle interessanti repliche di partite di uno sport che avevo ritrovato dopo una lunga pausa, riuscendo a rivedere qualche highlight procurato da amici, che mi aveva fatto conoscere Dan Marino, Brett Favre ed i Los Angeles Raiders, che apprezzai per l’aggressività del logo, nonché per la presenza del loro berrettino sulla testa di tutti i rappers che ascoltavo da adolescente. Capitai lì a vedere Minnesota-Washington al Metrodome, uno splendido stadio chiuso con il terreno sintetico. Non avevo mai visto una cosa del genere. Era una gara di playoffs, senza domani, la chiamavano Wild Card, perché per ogni turno c’è un nome differente. Strafico, pensai. Vidi quel casco con l’indiano in azione, d’un tratto i Raiders e Dan Marino (che non smisi mai di apprezzare) erano un pallido ricordo, mi ricordai di tutti quei quaderni delle elementari, dove solo in seguito scoprì che oltre alle scritte Redskins c’erano raffigurati dei giocatori veri, che anni dopo riuscì ad individuare in Joe Thiesmann e John Riggins. I Redskins erano tradizionalmente grandi nel football. L’amore per loro non mi avrebbe mai più abbandonato.

Mi apprestavo a diventare un altro figlio di un football minore, pensando di essere sostanzialmente da solo e confinato nel seguire con passione non solo i Redskins, ma ogni singolo fotogramma che mi veniva proposto. Quale fosse la squadra non mi interessava un granchè.

Altro che giocare tutti la domenica, tutti con lo stesso clima: ogni città aveva le sue caratteristiche atmosferiche, capitò di vedere la neve (!) a Dallas e di gustarsi una partita di dicembre nel sole della generosa Florida, di veder soffrire omoni giganteschi al cospetto della siberiana Green Bay, di capire quanto furbi erano stati a Minneapolis, costruendo uno stadio coperto e riscaldato mentre fuori c’erano trentamila gradi sotto zero. Le decorazioni delle aree di meta, i loghi, i caschi, le uniformi…mi piacevano tutte.

Il fattore campo, ah, il fattore campo: a Green Bay non si passa perché fa freddissimo, a Chicago c’è lo stadio con le colonne ed il capitello, e quando tira il vento sono cavoli amari per tutti, a Buffalo nessuno ha il coraggio di uscire di casa per il gelo proibitivo ma a vedere i Bills ci vanno sempre tutti, piccole leggende, ma grandi differenze con quelle che decisi essere le checche dello sport italiota, sempre pronte ad una scusa per la sconfitta ed a ritirare l’esoso stipendio in egual misura, con la lieve differenza che commozioni celebrali ed ossa rotte non venivano da loro rischiate ad ogni singola azione. Niente stadi mezzi vuoti. In America lo stadio era sempre pieno. Quando ebbi la fortuna di andare a New York e vedere Jets-Raiders, i padroni di casa erano a secco di vittorie e metà stagione era ormai archiviata: entrammo solamente per concessione dei bagarini, perché lo stadio era esaurito dal venerdì precedente. In analoga situazione, in Italia, la sede della squadra sarebbe stata brutalmente vandalizzata. Questi, invece, erano fuori dallo stadio che tailgateggiavano con gli avversari. Diedi un cinque ad un tizio travestito Darth Vader, che se sbatteva di chi fossi e per chi tifassi. Era lì per dare cinque a chiunque passasse di là. Two different worlds.

Il mio orologio interno cambiò: le partite non erano più alle 15:00 della domenica, bensì un po’ alle 19.00 (italiane), ed un po’ alle 22.00. 1 pm e 4:15 pm (check local listings) diventò presto il mio pane quotidiano, man mano che i mezzi per vedere questo spettacolo crescevano (Tele+ arrivò anche a casa mia, e beccavo uno straordinariamente pulito segnale della Afn, tv e radio della Caserma Ederle) culminando al lunedì con il famoso Monday Night Football, sempre preceduto (ora non più, sigh) da una grafica computerizzata che sollevava i caschi delle protagoniste ai lati dello schermo televisivo, per poi farli cozzare iniziando la trasmissione vera e propria.

Andavo a letto con le cuffie e la radio accesa, se il segnale televisivo non andava. Ero in collegamento diretto con l’America ed ero la persona più felice del mondo. Quando arrivava il Super Bowl un caro amico veniva a casa mia, ci sparavamo la partita, dormivamo un paio d’ore sul divano e alle 7 del mattino eravamo già alla fermata del bus per andare a scuola. Ero stanco, distrutto, semi-incosciente già nel primo pomeriggio successivo. Ma lo spettacolo che avevo visto, nonostante vedesse spesso impegnati gli “odiati” Cowboys, mi aveva lasciato estasiato. Dentro di me non sentivo nessun odio e non riuscivo ad impormi di sentirlo. Se Dallas era più forte di Washington, in un determinato anno, non era certo perché comprava le partite.

Oggi sono ancora pieno di quella stessa passione, con la differenza che la posso seguire con maggiore facilità. Internet, Sky, tra poco forse Nasn, rappresentano il piccolo paradiso terrestre che è andato definitivamente a sostituire quel mondo che rifiuto, quello delle dirette del campionato di calcio di mezzo mondo, quello del pallone che ne combina di tutti i colori ma continua ad incollare alla tv milioni di persone, quello dei teppisti che comandano il governo ed impauriscono la polizia, quello dei motorini che volano giù dalle gradinate.

Ciliegina sulla torta, da tre anni ho scoperto che della mia malattia per fortuna soffre molta più gente di quello che pensavo, e d’un tratto mi sono ritrovato in mezzo a delle persone che non riesco a smettere di aver voglia di vedere. Tutti a conoscenza della maggior parte delle informazioni disponibili sulla loro disciplina, ognuno con la sua squadra e la sua rivalità non violenta, ognuno con il suo idolo d’infanzia e la sua motivazione personale per tenere a questa o a quell’altra franchigia.

Tutti figli di un football minore, costretti a seguire da emarginati il proprio sport preferito con ogni mezzo, perdendo diottrie per la scarsa qualità delle immagini, cresciuti sacrificando qualche fine settimana e sentendosi ripetere "Ma sei un pistola, eh? Stai a casa a guardare che?!?""Ehm football...football americano...".

Se anche una sola delle sensazioni che trovate descritta qui dentro fa o ha fatto parte della vostra vita e pensavate di essere gli unici al mondo, sappiate che (non) da oggi potete contare su uno sfigato in più.

mercoledì 9 gennaio 2008

L'attaccante oriundo (della serie, non ho nulla da dire se non un deliro)

"Il calcio educhi all'onestà". Ma chi? Ma de che? come direbbero a Roma o zone limitrofe. La presentazione del nuovo attaccante della nazionale per i prossimi europei, un tedesco piuttosto avanti con gli anni che a quanto pare, sposando una ragazza italiana, ha ottenuto cittadinanza e la possibilità di cambiare il cognome in Benedetto, mi lascia basito. E poi vi dirò...

Benedetto. Forse il cognome della neo-moglie, non so. Ma poi XVI°, come sulle figurine Panini, dove c'erano Baresi I e Baresi II (e il mio babbo, lo ricordo bene, ha sempre sostenuto che il primo fosse meglio del secondo... quando il tifo rende ciechi...) o come Fontolan il quale, a sua volta come un monarca inglese, se non erro, portava un qualche numero romano dopo il cognome, senza che si sapesse chi fossero gli altri. Poi, con l'arrivo di Edi (o forse era Edy? Non era Ely o Eli comunque), io non facevo più raccolte di figurine, ma ci saranno certamente stati Baggio I e Baggio II.

Qui, come detto, si è a XVI. Dove giocano gli altri 15 (XV?). Forse una intera squadra di rugby? Forse allora hanno presentato il nuovo pilone della nazionale, e non il centravanti? E poi, a proposito di oriundi, Camoranesi è I, II o III? Finché non arriverà un fratello, magari nell'Ascoli, non lo sapremo mai. Grazie a Hugo (nella foto sfocata sotto), invece, scoprimmo che c'erano un Maradona I e un Maradona II anche se, probabilmente, sarebbe bastato scrivere Maradona, sotto la foto del numero 10 del Napoli, e Hugo sotto quella del mangia olive a tradimento.

Hanno mai fatto il DNA a Hugo? Secondo me no, sicuramente era un amico napoletano del Pibe de Oro tirato fuori da qualche localaccio di quelli che frequentavano Bagni e compagni (De Napoli no, lui pizza e a letto presto. Ciro invece non si accorse mai di nulla).

Chi lo dice che un post deve essere lungo? E bello? E sensato? E articolato?

Nessuno.
A parte gli scherzi, restando in tema religioso, che non volevo assolutamente dissacrare, le notizie che oggi mi han colpito di più (non è vero, ma nei blog si dice sempre così) sono state due, entrambe strettamente legate, anche se per motivi differenti, alla Romana Chiesa Cattolica. Che si chiama Romana, ma è straniera, nella Città del Vaticano, dove si parla il Latino e si paga in euro. Quando si paga. Ah, e le guardie sono svizzere, infatti la Banca Vaticana, o IOR, funziona da... dio. Ok, battuta scontata, ma se l'avesse fatta Benigni prima di sparare un po' di Divina Commedia punk version avreste riso.

Dicevamo, i due avvenimenti del giorno, finalmente due notizie che fan bene alla chiesa. La prima, che sarebbe poi la seconda in ordine di tempo, è l'arrivo in Italia del cardinal Milingo, atterrato a Roma insieme alla splendida moglie asiatica.

Milingo è stato vescovo, guaritore (!!!) ed esorcista (!!!!!!!!!), prima di entrare nella tremenda setta del Reverendo Moon, quello che organizzava matrimoni di massa decidendo chi dovesse diventare coniuge di chi. Ecco spiegato perché Milingo è finito con quella coreana di cui mi sfugge il nome. Ed ecco spiegato perché hanno cacciato Milingo dalla chiesa.

Chiesa che, almeno per una volta, fa miglior figura dell'Italia la quale manda Giancarlo Abete (nella foto d'epoca, sotto) dal Papa con tanto di maglietta azzurra, figurine Panini e striscione intitolato a Maradona II e Benedetto XVI. Come a dire "gli ultimi saranno i primi".

Cioè, il Vaticano si sbarazza di Milingo solo perché si è perso un attimo tra le braccia di un dolce e accogliente reverendo pagano e noi non riusciamo a liberarci, ad esempio, di Giancarlo Abete? Dai, questo ha fatto tre legislature, è fratello dell'ex presidente di Confindustriua, sponsorizzava con una delle aziende del suo gruppo il Totocalcio, ha fatto parte a sua volta della giunta di Confindustria, ha diretto la Lega di Serie C mollandola, a fine anni 90, sul lastrico, ha più inciuci di Provenzano, è della prima Repubblica e forse anche della prima Monarchia e noi lo mandiamo lì, come nulla fosse... e quell'altro gli dice "Il calcio educhi all'onestà".

Ma cosa vuoi che educhi? Ancora Abete ci sta. Per tacere del barese, se no ci chiudono il blog. Ma poi, Ratzi, la guarda un po' di TV? Ha idea della situazione politica, sociale e sportiva italiana? Davvero pensa che il calcio possa educare? Davvero pensa che Abete sia una soluzione? Davvero pensa che in Italia, alla luce di tutto e all'oscuro del troppo, "onestà" e "calcio" possano ancora coersistere in questi tremendi giorni? Ma poi, 'sto Abete è I o II. Va be', allora viva Milingo e viva il reverendo Moon. E anche Warren Moon, quarterback. A proposito di quarterback.

Questo è Jeff Garcia, che fa il quarterback di football americano.














Questa è la moglie di Garcia che fa quello che deve fare.
















Se avessimo mandato Garcia da Moon avrebbe sposato un piccola e tracagnotta coreana, mentre Milingo si spupazzerebbe tanto ben di dio? Ma, soprattutto, mandassimo oggi Garcia dal Papa, con la moglie, lui cosa direbbe? "Il calcio educhi, ma il quarterback trombi?"

E pensare che qualcuno sospettava fosse gay. Garcia I. Che giocatore. Che moglie.

Il calcio educhi.

Tua sorella.

martedì 8 gennaio 2008

Outdoor




Arrivo lungo, lo so, di almeno una decina di giorni, ma volevo lo stesso parlare del main event che ha chiuso la stagione hockeystica: il tanto atteso Winter Classic. Si tratta della partita outdoor che è stata giocata lo scorso 28 dicembre a Buffalo, New York tra i Buffalo Sabres e i Pittsburgh Penguins, ad evidente scopo promozionale per una Lega che ha bisogno di più ampi consensi. Esperimento riuscito…a metà. Soddisfatti i vertici (ma c’era da aspettarsi che non svendessero il proprio prodotto) con il commissioner della Nhl Gary Bettman che ha ringraziato tutti auspicando la possibilità di riproporre l’evento in futuro, sperando che ne venga mantenuta l’esclusività in modo tale che questa partita diventi una sorta di scontro tradizionale (in questo caso il fascino sarebbe ancora maggiore se si giocasse, ad esempio, a Capodanno).

Meno entusiasmante invece quello che si è visto sul ghiaccio, o sulla neve dovremmo dire, visto la fitta nevicata che ha ricoperto la Grande Mela e il resto dello stato. Difficoltà per i giocatori, con Sidney Crosby che si è esibito in memorabili palleggi per avanzare nel terzo di gioco avversario (vedere per credere) e difficoltà anche per gli addetti ai lavori, che sono dovuti intervenire in numerose occasioni per spalare la neve, causando ripetute interruzioni che non hanno certo aiutato lo spettacolo. Ne ha ovviamente risentito il punteggio: la partita, tra due delle squadre che segnano di più nell’intera Eastern Conference, al di là di qualche legno colpito da entrambe e di qualche shift degno di nota, è infatti finita 2-1 agli shootout per i Penguins, con gol decisivo del nuovo fenomeno Crosby.

Sperimentato anche il cambio di campo ogni 10 minuti, che avrebbe dovuto stancare maggiormente le difese per consentire maggiori emozioni. Con questa regola sono infatti aumentati i cosiddetti “cambi lunghi”, che costringono i giocatori seduti in panchina a sostituire i compagni dall’altra parte del campo un maggior numero di volte rispetto al normale. E per quanto riguarda questo, sinceramente, spero non si vada oltre alla sperimentazione.

Infine, l’ultima considerazione va fatta sui tifosi, presenti in 71 mila sulle tribune, che hanno trascorso sicuramente una piacevole giornata, ma erano decisamente troppo lontani dal ghiaccio. Se calcoliamo poi la neve che ha ostacolato ulteriormente la visuale, non c’è da stupirsi se qualcuno di loro, a fine gara, abbia detto di aver visto il proprio goalie segnare di testa su calcio d’angolo.

sabato 5 gennaio 2008

"Il Professionista" ("Playing for Pizza")

Tra i regali di Natale ho avuto la piacevole sorpresa (ok, non ero una sorpresa perché l'avevo richiesto) di trovare l'ultimo libro di Grisham, in italiano "Il Professionista". Perché piacevole? Beh, perché parlava di football, non solo, ma addirittura parlava di football italiano!
La storia è abbastanza semplice: un'eterna dell'NFL reduce da un infortunio e dalla peggiore prestazione che la storia NFL ricordi viene a giocare in Italia, nei Panthers Parma, per cercare di portare questi a vincere il Super Bowl italiano. Naturalmente non vi dirò nè la fine nè come si evolve la storia (se qualcuno ancora non l'ha letto) ma vi dirò semplicemente quello che ne penso: a me è piaciuto!
E' una storia semplice, lineare, sull'amicizia in generale e in particolare su quella tra compagni di squadra, su quel senso di complicità, di solidarietà, su quel cameratismo che si viene a creare tra persone che vivono la stessa passione. Chi di voi avrà vissuto la sua esperienza in un qualsiasi spogliatoio di sport non farà fatica a ritrovarsi in alcune scene, in alcuni atteggiamenti. Quello che forse non tutti possono cogliere è quella particolare atmosfera che c'è negli spogliatoi del football a livello italiano, sport non minore....ma di più, in cui potrete trovare le tipologia di gente più disparata, dai 17 ai 40 anni, che si sacrifica, s'impegna, soffre e gioisce come un bambino per pura passione.
In uno spogliatoio di calcio, basket o pallavolo, anche se fosse di terza categoria o di campionato amatori, troverete sempre quello che "ai miei tempi ero una leggenda", quello che "dovevo giocare in serie A ma mi hanno scartato per uno raccomandato", quello che "se ho l'occasione giusta sfondo, arrivo in serie A e divento ricco e famoso". In uno dei tanti spogliatoi di squadre di football sparsi per la penisola no, non c'è nessuno che può o poteva diventare professionista, giocare in NFL, non sentirete mai parlare di raccomandati perchè non c'è nessuno sano di mente che si farebbe raccomandare per prendersi una cascata sul ginocchio o farsi placcare da uno che pesa il doppio di te.
In uno spogliatoio di football troverai gente che a 17 come a 40 anni si allena come un matto (e gli allenamenti nel football sono più faticosi delle partite), sacrificando lavoro e vita privata solo per la pura passione per un gioco che pochi conoscono e pochi capiscono ("ah sì, tu giochi a rugby no?").
E secondo me Grisham è riuscito a rendere questa atmosfera molto bene, e partendo da questo tutto il libro va' avanti con fluidità, leggero e piacevole da leggere, con un viaggio nella cultura, nell'atmosfera e nella cucina emiliana che non solo fanno da ottimo contorno al procedere della storia ma che anzi ne costituiscono parte integrante, facendo trapelare tutto l'amore che lo scrittore prova per ciò che è italiano.
Tra le critiche che ho letto è quello di essere scritto in maniera troppo semplicistica, che non spiega niente e che lo può leggere solo chi capisce qualcosa di football. Bah...forse sono io, ma queste critiche le capisco poco. Lo stile di Grisham è quello, semplice, veloce, rivolto a tutti, anche a chi non ha un alto livello culturale, quando lo compri sai già quello che ti aspetta: è uno degli scrittori più letti al mondo, uno di quelli che arriva al grande pubblico ma di certo non uno di quelli che aspirano al Nobel. Lo può leggere solo chi capisce qualcosa di football? Forse questi potranno coglierne tutte le sfumature, ma è una storia di amicizia nell'ambiente del football, non un libro sulla storia del football o un "Football for Dummies". Se uno vuole capire il football penso debba rivolgersi altrove...E poi è un libro che è stato scritto principalmente per il mercato americano, non per l'Italia, e lì, qualcosa in più di football rispetto a noi penso che la capiscano...(e lì infatti è volato presto in cima alle classifiche di vendita)
Ma poi è normalissimo che un libro, come un'opera d'arte in generale, può piacere a qualcuno e a qualcun altro no, che qualcuno l'adori e che qualcun altro non riesca ad andare oltre le 5 pagine, e questo perchè un libro, come un film, una canzone, piace se riesce a dare emozioni a chi lo legge, lo vede o lo ascolta. E siccome, per fortuna, siamo uno diverso dall'altro è normale che le emozioni provate saranno sempre diverse. E poi le emozioni provate da una stessa persona saranno diverse a seconda del momento che, per es., leggerà un libro o ascolterà una canzone: a 16 anni ascoltando una canzone sentiremo emozioni che non necessariamente saranno le stesse se l'ascoltassimo a 40 anni.
Sinceramente era da un po' di mesi che non leggevo un libro, io che sono un avido lettore (il mio spacciatore di storie è latitante...), ma questo ha ravvivato la mia voglia di leggere, mi ha fatto passare alcune ore piacevoli e mi ha fatto ritornare indietro nel tempo (accrescendo la malinconia per il mio spogliatoio...): per me è sicuramente un libro da leggere, e se siete appassionati di football (o fanatici seguaci di Grisham, però attenzione che non ci sono tribunali, avvocati o giudici....ops...questo non è vero...) lo potreste apprezzare maggiormente, partendo però sempre dal basilare concetto che il football reale è sempre meglio di quello che potrete trovare su un libro o in un film.

giovedì 3 gennaio 2008

Dov'è finita Cenerentola?

Quando si sente parlare di College, la mente di un appassionato di sport USA riporta sempre al colore degli stadi, al rumore delle bande, alle cheerleaders a bordo campo, a quella sensazione, che può essere anche invidia, di un mondo di cui vorremmo far parte, di cui vorremmo vivere le emozioni, giorno per giorno, cantando e ballando con il pubblico sugli spalti, esultando per una vittoria, piangendo per una sconfitta.
In questo mondo la parola Cenerentola (Cinderella) ha sempre avuto un significato particolare, che sfociava nella leggenda, dando il via a racconti epici, alcune volte gonfiati, ma sempre piacevoli da ascoltare ed emozionanti da vivere, anche solo davanti ad un televisore a migliaia di kilometri di distanza.
La squadra sfavorita, senza nessun pronostico, sconosciuta al panorama nazionale, che improvvisamente si scopre grande, anche solo per una sera, cullando il sogno che molti di noi vorrebbero vivere in prima persona, vincere contro il pronostico, sconfiggere i più forti e diventare delle star.
Nel mondo sportivo collegiale americano di situazioni del genere ce ne son state tante nel passato, sia nel basket che nel football. Nel Torneo NCAA ogni anno gli analisti cercavano di scovare quale poteva essere la sorpresa assoluta, ci sono squadre che sono state Cinderella per molto tempo prima di diventare delle potenze sportive.
Nel football ci sono i Bowls, partite secche, dentro o fuori, situazioni ancora più drammatiche, meno frequenti rispetto al basket, ma più belle da vivere e raccontare, come l’anno scorso, quando la sconosciuta Boise State firmò un’annata piena di vittorie, che la portò nelle vette del ranking nazionale, che la fece sognare anche solo per un attimo di poter vincere il titolo, per poi scendere dal piedistallo, ma avere comunque la possibilità di giocarsi un Bowl BCS, contro l’Oklahoma del fenomeno Adrian Peterson.
Quella fu una partita da leggenda. Finita in overtime, con una delle giocate più incredibili degli ultimi anni, vinta dai più deboli, che fecero impazzire una nazione, che generarono storie belle e commoventi.

Ora tutto questo sembra svanito.

Un vento gelido che ha iniziato a soffiare nella March Madness dell’aprile scorso, quando alle Final Eight sono approdate sette delle prime otto teste di serie del Torneo e Oregon, unica squadra a non essere n.1 o 2 del lotto, era una n.3. La vittoria è andata ai favoriti della vigilia, ai campioni nazionali uscenti di Florida, che hanno battuto Ohio State, considerata da tutti la rivale più accreditata per i Gators. Nessuna sorpresa, nessuna Cinderella, i più forti hanno avuto la meglio e hanno vinto, dominato, senza guardarsi indietro.

Si pensava che fosse un caso. Il College Football poteva regalare ancora delle emozioni. La regular season proponeva subito una squadra del destino, Illinois, grande nel basket, ma piccola nel football. Veniva da due stagioni chiuse con solamente due vittorie e diciannove sconfitte, sempre in fondo alla Big Ten. Quest’anno però la musica era cambiata. Ron Zook aveva visto i suoi battere una super corazzata come Ohio State, di un punto, in una partita da cuori forti, che aveva lanciato i Fightin Illini verso le vette del Ranking, che aveva dato loro la possibilità di giocarsi un Bowl principale, come successe per Boise State lo scorso anno.
Viaggio verso la California, destinazione Rose Bowl, Pasadena, contro i campioni della Pac-10, USC, la squadra dinastia per eccellenza dell’ultimo lustro, guidata dal santone Pete Carroll.
Il più classico dei Davide contro Golia. Nessuno lo diceva, ma tutti erano pronti ad estrarre la penna giusta per scrivere di un’altra pagina emozionante dello sport a stelle e strisce.
Sembrava tutto pronto, USC aveva già perso in stagione contro una Cenerentola, Stanford, sconfitta decisiva per l’approdo alla Finale Nazionale. Illinois poteva vincere.

Invece ha perso. Una sconfitta ampia, giusta, senza recriminazioni. Anche stavolta il più forte ha vinto e ha voluto farlo nel modo più inequivocabile. Dominando.
Illinois non ha potuto nulla, nemmeno la fortuna ha girato dalla parte degli Illini, pochi minuti di inerzia svaniti subito e spenti definitivamente dalla potenza tecnica e atletica dei Trojans.
Ron Zook a fine gara era amareggiato, non ha parlato di sogno, non ha ringraziato i suoi ragazzi o detto di essere fiero di ciò che si è fatto, ha parlato della partita ed è stato molto duro: “Eravamo qui a rappresentare la Conference e abbiamo portato la Big Ten verso il basso. Noi possiamo competere, ma abbiamo bisogno di dimostrarlo.”
Parole che sono un macigno per i propri giocatori. Niente più Cerentola. Dobbiamo pensare in grande per diventare grandi, molti rimpianti, nessuna festa per una stagione comunque eccezionale.
Accuse dirette che potrebbero sembrare esagerate, ma che sono figlie di un pensiero che sembra ormai aver preso piede anche all’interno del mondo collegiale, bisogna vivere da professionisti in un mondo di dilettanti, pensare alla vittoria, pensare ad essere grandi, per diventarlo.
La favola è finita. Nessun lieto fine per quest’anno.
Restiamo in attesa però, perché la magia possa ritornare, c’è ancora una March Madness da giocare, c’è ancora tanto college sport da vivere.

martedì 1 gennaio 2008

Vivere i playoff

Per uno che ama, che vive con passione il football americano il periodo dei Play-off è il non plus ultra e tra tutte le partite della Post Season, in my humble opinion, non esistono giorni migliori che i primi due weekend di Gennaio, e non importa il fatto che la tua squadra non sia più in lotta per vincere il titolo, quei 4 giorni della prima metà del mese sono il momento più bello della stagione, il momento dell' anno che uno aspetta, sono il "nostro" Natale ritardato.
In generale il football è bello perchè anche durante la stagione non esiste "facciamo un punto fuori casa, che muoviamo la classifica", non esiste "siamo stanchi, questo viaggio ad ovest ci ha massacrato e poi siamo in back to back..questa la possiamo anche perdere", nel football ogni domenica si scende in campo con il sangue agli occhi consci del fatto che vincere o perdere sarà decisivo ai fini della stagione, le partite sono 16...non c' è domani, c' è solo l' oggi, c' è solo "Domenica". E molto spesso la differenza tra vittoria e sconfitta (come ci insegna il buon Tony D' Amato in "Any Given Sunday") è davvero una questione di centimetri.

Questa è la stagione regolare, pensate cosa può essere poi a Gennaio, dove non solo non esiste domani, non esiste nemmeno "tra 2 ore", tutto può finire....un field goal sbagliato, uno snap perso, un drop, un placcaggio ad una yard dalla meta, l' ultimo lancio disperato, il ritorno miracoloso, il drive perfetto, sono in quelle domeniche, in quelle partite che nascono le leggende e crollano gli dei. Forse è proprio questo che mi (ci) fa adorare questo sport, il fatto che ogni volta che guardi una partita da Settembre a Dicembre puoi star certo che chiunque scenda in campo (a parte Moss ai Raiders....) lo faccia dando il 100% se non il 110% di quelle che sono le sue possibilità e la percentuale sale al 150% a Gennaio, è la competitività portata al suo livello massimo che ci fa adorare questi ragazzoni vestiti da motociclisti senza moto.

Il "playoff-sentire" (parafrasando l' "olimpico-sentire" che ti fa amare le olimpiadi più di ogni altra competizione) è qualcosa che non è facile da capire è qualcosa che ti spinge a schierarti in tutte le partite che vedi, ti rende tifoso di tutti e di nessuno nel giro di poche ore; ti rende intrattabile, irascibile, dispotico, alienato, rumoroso, nervoso e dannatamente scaramantico quando poi è finalmente la tua squadra a scendere in campo, fai ricorso a qualsiasi tipo di scaramanzia, qualsiasi gesto nella tua testa può influire sul corso della partita: "no così non va, cazzo...bisogna cambiare qualcosa: via questo telecomando, va spostato; mi sono ricordato di spegnere il cellulare?! fammi controllare; il cappello va messo con la visiera verso l' endzone che dobbiamo raggiungere; spengo la luce?! accendo la luce?!? ...." è un pozzo senza fondo, la tua squadra sta andando male, quelli che dovrebbero fare dei cambiamenti sono gli allenatori o il tuo QB dovrebbe iniziare a lanciare meglio, il tuo miglior WR dovrebbe smettere di droppare palloni...sono loro che devono cambiare, ma ormai sei talmente dentro alla partita che anche tu porti cambiamenti con la speranza priva di senno che questo possa giovare....tutto questo quando la tua squadra sta perdendo, mentre quando sta vincendo l' ordine è uno solo: vietato iniziare a pensare al dopo, al domani, la partita è sempre molto lunga, troppo lunga, infinita e sai che se inizierai a pensare di averla già vinta per non si sa quale motivo qualcuno punirà i tuoi pensieri, nemmeno stessi pensando di concupire tua sorella dentro la chiesa durante un funerale..il funerale di suo marito.

In molti penseranno che si sta esagerando, è solo una partita....no! non è una partita, sono i playoff NFL, mettete le birre in frigo, qualcosa da sgranocchiare durante le pause, controllate che ci siano abbastanza sigarette in quel pacchetto se avete il dannato vizio di fumare, perchè rimanere senza nel momento decisivo è una cosa che non augureresti nemmeno al tuo peggior nemico e rivale di division, mandate a fanculo tutti quelli che vi dicono "ma è Sabato, che cazzo te ne fai che resti a casa?!?".

Sabato si comincia, non c' è da prendere il punticino che muove la classifica qui, già per due squadre non ci sarà più "classifica", non ci sarà più "Domenica"!