venerdì 14 novembre 2008

Macchè Bcs, dateci i playoffs!

Novembre è il mese della politica, in America. In tutti i sensi. E’ il mese che sancisce la fine di mesi e mesi di comizi urlati e che scaturisce l'elezione del presidente degli Stati Uniti, ma anche il mese dove il meccanismo politico dell’auto-promozione comincia a far parte integrante del mondo del college football, questo perchè coincide con la prima pubblicazione stagionale della classifica targata Bowl Championship Series, la quale va a determinare chi si ritroverà rispettivamente al numero uno ed al numero due del ranking ottenendo la possibilità di giocarsi il titolo nazionale.

Il carrozzone della propaganda apre le sue porte ad ogni allenatore che si rispetti, le conferenze stampa di stampo lobbistico cominciano proprio di questi tempi, arrivano le prime affermazioni di ”spinta” verso la propria squadra e si innesca una serie di chiacchiere che fa molto felice la carta stampata, che di queste ed altre nefandezze necessita per riempire le proprie cronache sportive. Il sistema, così com’è concepito oggi, è storico, poggia su tradizioni apparentemente inamovibili, quelle dei Bowls, maggiori o minori che siano, partite il cui accesso è determinato da una condizione necessaria ed inappellabile: vincere sei partite durante l’anno.

Conta molto la qualità di queste vittorie, non solo la quantità, perché tutti i rankings collegiali, i famosi ed opinabili top 25, basano la propria classifica di merito proprio sulla difficoltà delle partite giocate prima di ogni altro fattore, metodo che non sempre riesce a rendere giustizia.
Il caso cade a puntino, e si è verificato proprio di recente: quest’anno abbiamo avuto una Big 12 paragonabile ad un girone infernale dantesco, ed in una sola division, la South, sono concentrate ben tre squadre, Texas Tech, Oklahoma e Texas, che meriterebbero di disputarsi una finale per conto proprio. Per quanto bene abbiano giocato queste compagini, tuttavia, sarà possibile mandarne solamente una al National Championship, e qualunque del trio termini la propria regular season al primo posto dovrà vedersela contro la squadra più forte della North Division nella finale di Conference, con il serio rischio di minare la propria credibilità proprio davanti al traguardo, e soprattutto dopo aver comunque disputato un campionato di grande qualità.

Se non altro, da questo punto di vista, l’upset che Iowa ha piazzato ai danni di Penn State sabato scorso ha senz’altro lavato i panni sporchi in casa, risolvendo da sé un problema che aveva creato grandissimi grattacapi ai vari commissioner delle conference maggiori. I Nittany Lions erano fino a poco tempo fa posizionati al numero tre del ranking nazionale, in virtù di un’imbattibilità (ora interrotta) che numericamente parlando li aveva messi sullo stesso piano di Texas Tech, Texas (quand’era numero uno, chiaramente) ed Alabama, che al numero uno ci alloggia in questi giorni. Statisticamente ma non qualitativamente dicevano molte voci velenose, in quanto il calendario di Penn State, appartenente alla Big Ten, era stato più agevole, quindi la qualità stessa di quell’imbattibilità non poteva essere la medesima di una squadra mantenutasi illibata nelle sparatorie della Sec o della Big 12, e c’era addirittura chi era arrivato a dire che persino Texas, con una sconfitta a carico, avrebbe maggiormente meritato quel posto rispetto ai Nittany Lions.

Immaginiamo per un momento che il risultato di sabato fosse stato invertito, e Penn State avesse mantenuto l’imbattibilità. Ipotizziamo contemporaneamente che Alabama avesse vinto un’ipotetica finale di conference contro Florida, e che Texas Tech uscisse illesa dai tremendi scontri che la attendono, finale Big 12 ivi compresa: con quale criterio si sarebbe stabilito l’ordine finale del ranking decretando che una di queste non meritasse di andare al National Championship? Sarebbe stato giusto basarsi su un mix di criteri di selezione, dove tra i più preponderanti c’è un cervellone elettronico privo di ragionamenti umani che mette insieme il maggior numero di dati statistici possibile dando un’opinione fin troppo vincolante? Sarebbe infine stato corretto affidarsi in parte anche ai voti degli allenatori, la quale ultima votazione viene resa pubblica, i quali avrebbero potuto comodamente favorire (o sfavorire) un loro collega a discapito di un altro? Chi avrebbe avuto il coraggio di ammettere dinanzi ad un mostro sacro come Joe Paterno che avrebbe votato contro di lui? Ma ve lo immaginate l'Urban Meyer di turno che batte la spalla a JoePa dicendogli "Allora nonno Joe come andiamo, tutto a posto? Quest'anno hai sofferto come un cane in tribuna stampa, l'anca ti fa male e non puoi stare sulla sideline come facciamo noi allenatori normali. Avevi una bella chance di finire al Championship quest'anno, avresti coronato una carriera leggendaria. Ah, Joe, siccome il voto è pubblico te lo dico subito a scanso di equivoci: io ho votato Texas Tech. Ciao, alla prossima!"

Tutto questo non convince, perché il sistema con cui si regolano i conti negli sport americani è uno ed uno solo: si chiama playoffs.

Sì, esatto, playoffs. Suona come una bestemmia per chiunque sia un purista di un sistema che “funziona”, o meglio vige, da secoli e secoli, ma la soluzione logica, ed a nostro modesto parere inevitabile è arrivare a questo, ad un verdetto che finalmente possa essere sputato dal campo, e non da un insieme di calcoli sensati, per carità, ma che non possono sostituirsi ad un regolamento di conti diretto e ben più veritiero di questi.

Il beneficio primario sarebbe l’immediato spegnimento di (quasi) ogni polemica, ed il riferimento non è affatto casuale perché ci perseguita dall’inizio dell’anno, pensando ai Georgia Bulldogs: alla fine del 2007 si lessero dichiarazioni bellicose di ogni genere, uscite dalle bocche dei giocatori dell’ateneo, il quale aveva finito il campionato alla grandissima, dimenticandosi forse delle due sconfitte che avevano precluso alla squadra di ottenere qualcosa di più di un Sugar Bowl. Mark Richt, l’head coach, rispose a chiare lettere che i suoi ragazzi, prima di parlare, avrebbero dovuto pensare a vincere quelle due partite, perchè con un record perfetto l’ammissione alla finale sarebbe sicuramente arrivata. Fu quindi corretto escludere i Bulldogs, che in quel momento erano al massimo della forma e triturarono difatti Hawaii nel suddetto Bowl? Solo una partita secca di playoffs avrebbe potuto dare un verdetto equo, e mettere a tacere quelle dannate lingue perennemente in movimento.

Persino Barack Obama, nuovo presidente degli Stati Uniti opportunamente intervistato dalla Espn durante uno degli ultimi Monday Night, si era detto favorevole all’iniziativa, tuttavia le sue teorie sono state presto smontate da David Frohnmayer in persona, che del comitato Bcs ne è la figura principale, il quale ha ribadito che il concetto è stato oggetto di diverse discussioni in riunioni più o meno recenti e che non è assolutamente d’interesse modificare l’attuale procedimento decisionale che regola i princìpi del college football.
Ciò che stona con la dichiarazione di Frohnmayer è il fatto che Division I-AA e Division II e III eleggono la propria vincitrice tramite apposito tabellone ad eliminazione diretta, e non si intuisce bene, al di là delle ovvie e punzecchianti considerazioni circa gli interessi personali del comitato nel restare attaccati alla formula odierna, per cui la stessa cosa non possa essere fatta per la Division I, Fbs o come cavolo si chiama oggi. E per appesantire la dose basta leggere l’intervista che Pete Carroll, allenatore di Usc, ha rilasciato pochissimi giorni fa, ammettendo davanti a tutti di non essere riuscito a capire, in questi anni, come diamine funzionino i calcoli che scaturiscono dal computer per determinare il ranking. Siamo quindi davanti ad un sistema di valutazione che nemmeno gli addetti ai lavori conoscono fino in fondo.

Probabilmente si risolverebbero anche quelle dispute riservate a tutte quelle università appartenenti ai ranghi bassi, quindi alle conferences cosiddette non Bcs, che hanno calendari molto più facili rispetto ai pezzi grossi e per le quali è difficile determinare o meno il grado di appartenenza ad un Bowl maggiore.

Diverse appartenenti alle varie Wac, Mountain West e via discorrendo hanno terminato le ultime stagioni imbattute portando dei diversi risultati nei Bowls giocati, per cui un trend ben definito, dato che il sistema Bcs non esiste da sempre, all’attualità non è ancora determinabile. Tornando per un attimo allo Sugar Bowl dello scorso gennaio, la partita conseguì non poche polemiche perché vide la partecipazione di Hawaii, proveniente dalla Western Athletic, che aveva terminato al primo posto del suo gruppo battendo ogni avversario incontrato (il quale, per inciso, non era quasi mai di spessore, anzi) grazie ad un attacco ad altissimi ottani, con il risultato di vedere i Rainbow Warriors piazzati davanti ad altre università più prestigiose nella selezione per i Bowl Bcs. Andarono contro Georgia e Colt Brennan, recordman che dirigeva quello splendido attacco, giocò la peggiore partita dell’anno contro una difesa agguerrita, i Bulldogs seppellirono gli avversari sotto una valanga di punti, rendendo l’avvenimento molto più scontato e prevedibile del solito. In soldoni, le votazioni ed il computer avevano mandato Hawaii in un posto dove non avrebbe meritato di andare, e la qualità del Bowl era inevitabilmente scemata.

Non sempre è stato così, e ce lo insegnano Utah e Boise State: gli Utes divennero la prima squadra non Bcs della storia a giocare il Fiesta Bowl, peraltro togliendosi pure la soddisfazione di vincerlo largamente ai danni di Pittsburgh, mentre i Broncos chiusero la loro gloriosa stagione 2006 giocando nella medesima manifestazione e battendo, con un colossale upset, la Oklahoma di Adrian Peterson, una delle squadre più forti di tutta l’America, in una partita divenuta leggenda e ricordata come il David vs Goliath game. Ecco perchè non si può determinare, con così pochi elementi in mano, se valga la pena o meno chiamare queste squadre per le manifestazioni più importanti dell'anno.

In base a cosa, quindi, si può decidere se una delle piccole squadre che terminano il campionato imbattute meriti o meno un palcoscenico più grande di quello che in realtà si possano permettere? Come si potrebbero evitare ritorsioni come quelle del 1996, anno in cui gli studenti (ed un professore) di Brigham Young diedero fuoco ad una confezione di Tostitos (sponsor del Fiesta Bowl) e ne boicottarono ogni prodotto in risposta al mancato invito alla manifestazione, invito che andò a Penn State, classificata due posizioni più sotto rispetto ai Cougars?

Solo attraverso i playoffs.

Il sistema vincente sarebbe quello delle otto squadre. Rimarrebbe il problema dei criteri di posizionamento di queste otto squadre nel ranking finale, il che sarebbe comunque destinato a creare polemiche o da una parte o dall’altra, ma con questo sistema si potrebbe davvero riuscire ad accontentare tutti, anche quelli più piccoli. Sei di questi posti andrebbero riservati alle vincitrici delle relative conferences maggiori (Big 12, Big Ten, Sec, Acc, Big East, Pac 10), mentre gli altri due potrebbero essere messi a disposizione delle due migliori squadre appartenenti ai gruppi minori, il che non penalizzerebbe eccessivamente una squadra forte che si trova ad aver perso una sola partita solo perché appartenente ad una conference di ferro, e né una compagine proveniente da luoghi meno pubblicizzati che, fosse veramente in gamba come dimostrato a loro tempo da Utah e Boise State, avrebbe addirittura la possibilità di arrivare in finale, cosa che ad oggi è preclusa a priori. Otto squadre a caccia del titolo. Chi perde va fuori. Le migliori otto della nazione. Fantastico ed eccitante solo a pensarci.

Purtroppo, finchè aziende come Tostitos, All State, Fed Ex, (a cui presto, crediamo, si aggiungeranno Cirio, Parmalat e quant'altro) ed affini mantengono legati i propri nomi ad ogni Bowl esistente (ma nessuno, comunque, impedirebbe di giocarli comunque, indipendentemente dai playoffs) continuando a fare felici le casse della Ncaa in questi tempi di recessione economica, temiamo che non se ne farà nulla. Solo teste di altro tipo, desiderose di cambiamento, potranno intervenire e fare qualcosa di più corretto, di più equivalente, che accontenti tutti e non tenga conto della provenienza. Un po’ quello che ha promesso di fare Obama alla nazione che ha appena cominciato a governare, e che magari, una volta terminato il suo mandato, potrebbe impegnarsi a fare in ambito sportivo qualora, ipotizzando l'avvenimento per un attimo e solo per gioco, venisse eletto lui come nuovo presidente del comitato Bcs.

Hope.

3 commenti:

azazel ha detto...

il discorso "playoff si, no e se si come" per me è molto interessante. Credevo che la soluzione per i playoff fosse molto più vicina, invece pare che all' interno del comitato sono ancora tutti piuttosto contrari e finchè sono contrari loro mi sa che non si cambierà nulla.

Il fatto che secondo me farà sempre degli scontenti è che a livello collegiale ci sono davvero troppe troppe squadre, nel basket il torneo a 65 lascia per esempio comunque trombati e scontenti ogni anno, nel football già fare un torneo a 16 sarebbe impensabile per via delle date...e anche in quel caso avremmo squadre scontente...la soluzione delle 6 campioni di division maggiori + 2 dalle division più piccole per esempio non risolverebbe il problema che tu dave poni con la big 12 di quest' anno...lasciare il potere al ranking allo stesso modo dà troppo potere al "computer" o chi muove il computer...boh...

Egoisticamente poi è ovvio che avere un po a 8, per chi lo guarda da esterno è molto più divertente e spettacolare...

angyair ha detto...

Secondo me il maggiore ostacolo all'introduzione dei playoffs nel CF è la tempistica. Mi spiego meglio: i principali Bowls si svolgono durante le vacanze dopo natale, in caso di PO che ne sarebbe di questi Bowls? verrebbero soppressi? impensabile vista la tradizione ed il giro d'affari per sponsor, citta, università e TV. Verrebbero anticipati e farebbero parte dei PO? stravolgimento del loro senso, anche svuotamento del loro significato e dimunizione del fascino e del giro d'affari che creano nelle città durante le feste (se li anticipi il turismo diminuisce inevitabilmente). Secondo me l'unico modo per l'introduzione dei playoffs sarebbe un intervento deciso dei soldi delle TV, ma ci sarà mai? A loro non conviene meglio questa situazione dove ci sono più partite importanti con loro che si possono tranquillamente spartire la torta dei Bowls?
Di sicuro è un argomento affascinante, ma ho l'impressione che poco cambierà per ora...

Anonimo ha detto...

L'unica soluzione è sfruttare i bowl principali come parte principale di un tabellone playoff che permette di accedere poi alle F4. Non sono solo gli sponsor che legano il nome alle "finaline" a far fruttare soldi, ma accordi tra conference coi loro sponsor e i loro numeri e, ovviamente, gli introiti televisivi...