"A big ol' monkey off my back". Ecco le parole con cui Kobe Bryant ha descritto il suo quarto titolo di carriera, sottolineando, con quella particolare espressione, di essere finalmente riuscito a vincere da solo, da leader assoluto dei suoi Los Angeles Lakers, senza dover condividere il proscenio con un'altra superstar di uguale grandezza. Quella monkey aveva piuttosto assunto le dimensioni di un gorilla, o meglio di un godzilla, o meglio ancora di un Shaq-zilla: era difatti dal quel giugno 2002, da quel tremendo sweep terminato con la classica miriade di carte, cartacce e cartine che gli americani chiamano confetti che ricopriva il la pavimentazione in legno dell'impianto dei New Jersey Nets, che Kobe Bryant, pur essendo già entrato tra i più vincenti di sempre, aveva una missione chiara da completare nella sua vita di giocatore, a qualsiasi costo.Eccolo servito, quindi, l'epilogo di un campionato Nba che non sempre è all'altezza delle aspettative in alcune sue fasi dormienti della regular season, ma che quando cominciano i playoffs sa davvero essere di un livello che nessuno potrà mai riuscire a raggiungere. Alla fine, hanno vinto ancora loro. Ancora perchè da quel diciassette dei Celtics, i rivali Lakers non sono affatto distanti, ritornano a due lunghezze di distacco, e possono sentirsi ulteriormente motivati nel cercare di vincere ancora, mirando come obbiettivo proprio quella rivale più titolata di tutti gli altri nella Nba.
I Lakers, nonostante la loro fama di squadra perennemente in grado di provare a vincere il titolo, sono andati contro tutti i pronostici. Ci sono andati senza Shaq, sostituito da un bambinone troppo cresciuto per il quale Kobe aveva chiesto lo scambio (ricordate? avrebbe voluto Kidd al suo fianco, al posto di Andrew Bynum...), con il criticato Mitch Kupchak al posto di Jerry West, passando per la maturazione agonistica definitiva di Kobe in un momento che pareva senza direzioni precisa da intraprendere, prima di potersi definire una contender: prima di oggi c'era solo il Bryant Show (carina l'assonanza con Brian Shaw, che sull'argomento titoli in maglia Lakers può esprimere un'opinione o due...), ed un quartetto di giocatori impauriti per i potenziali errori che avrebbero potuto commettere dinanzi al leader del branco, il quale ogni volta che ne aveva l'occasione non mancava di dire due paroline pesanti al malcapitato di turno, e, peggio ancora, andava (lo fa ancora, non preoccupatevi...) direttamente a parlarne con coach Phil Jackson, innescando la classica serie di battutine mirate, tra il vedo-non vedo, a giocatori che avevano bisogno di essere motivati attraverso le indelicatezze pronunciate davanti ai media, tipiche dell'allenatore più grande di sempre. Sì, ora possiamo anche dirlo con certezza, Phil Jackson è il più grande coach della storia del gioco, ed ha fatto quello che nessuno era mai riuscito a fare, superando una leggenda che pareva intramontabile ed irraggiungibile, quella dei nove titoli di Red Auerbach. Jackson, tra Bulls e Lakers, è arrivato a quota dieci Larry O'Briens, un numero di peso ben diverso se inserito nel contesto del basket di oggi, dove c'è la free agency, dov'è stata introdotta la tassa di lusso, dove i giocatori assomigliano più a mercenari che non a cestisti professionisti (e professionali), impedendo di fatto la possibilità di mantenere un nucleo costante negli anni, contrariamente a quello che accadeva trenta o quarant'anni fa. Jackson ha saputo vincere con Jordan e Pippen, con Shaq e Kobe, con Kobe, Pau e Derek. Ed una delle immagini più belle delle Finals, è stata proprio l'espressione soddisfatta dell'head coach, assieme al suo cappellino giallo con la X viola stampata davanti (che sapeva un pò di Spike Lee e Malcolm X, eh...), a simboleggiare un'impresa che definire storica non rende a sufficienza l'idea.
Il newyorkese Lamar, invece, era arrivato qui solamente come merce di scambio per Shaq, tolto da una giovane e promettente Miami con gli stessi disagi provati da un gatto quando gli si fa cambiare abitazione, punzecchiato all'inverosimile da Jackson in tutti questi anniper la sua volontà altalenante, giocatore che accende poco e spegne tanto, ma che quando accende sa essere come nessuno è mai stato, un play che sa giocare quattro ruoli, con tiro da fuori (novità!), gioco in post e movenze in entrata agili ed armoniose.
Una parola, anche di più, pare giusto spenderla anche per i perdenti, ovvero quegli Orlando Magic la cui presenza a queste Finals era del tutto impronosticabile, e che se non altro sono riusciti a vincere la prima gara di finale della loro storia, dopo aver terminato la prima esperienza con un cappotto al passivo per mano di Houston, nell'oramai lontano 1995. Ai ragazzi dell'apprezzabile Stan Van Gundy va il grandissimo merito di essere arrivati all'atto conclusivo percorrendo una strada più difficile rispetto a quella dei Lakers, arrivando a battere Boston in sette partite, pur senza Kevin Garnett, vincendo la partita decisiva fuori casa, e soprattutto mettendo la parola fine a tutte quelle maledette speculazioni sulla serie finale "voluta" dalla Nba, Kobe vs Lebron, con quest'ultimo ancora una volta troppo solo per riuscire nell'impresa, e troppo frustrato (ed immaturo) persino per riuscire a dare la mano agli avversari al termine di quella gara 6 nella quale Orlando aveva sgominato quella che pareva essere la corazzata incontrastabile della Eastern.
E' stata la finale che ha consacrato agli occhi del mondo un altro non americano, Hidayet Turkoglu, per tutti Brother Hedo, confermatosi giocatore dotato di ghiaccio al posto del sangue, capace di mettere un altissimo numero di tiri decisivi ed altamente infiammabile negli ultimi cinque minuti di qualsiasi partita, e che ora uscirà dal suo contratto in cerca di uno stipendio ancora più alto, che i Magic sono disposti a dargli nonostante il cap ristretto pur di mantenere intatto questo nucleo di giocatori. Benino, invece, Courtney Lee, che i playoffs li ha giocati complessivamente molto bene, così come aveva giocato altrettanto soddisfacentemente la regular season, che in finale ha sofferto tantissimo il fatto di dover marcare, a tratti, proprio Kobe, facendosi infilare da ogni angolo, ma che ha dimostrato una cosa molto importante: anche nella Nba di oggi c'è spazio per i giocatori preparati, quelli che vanno per quattro anni al college ed imparano i fondamentali, giocatori magari non stellari, ma concreti quello sì. Se le votazioni per il rookie dell'anno comprendessero anche i playoffs, non c'è dubbio che quel premio Lee l'avrebbe vinto a mani basse.
Tornando invece un attimo alla vittoria appena ottenuta dai losangeleni, crediamo che sia proprio questo a rendere speciali gli sport americani: passare parte dei playoffs a sperare che una squadra perda per vederne vincere un'altra, (il sottoscritto, per intuibili motivi avrebbe preferito l'avanzata dei Rockets), ed una volta digerita la sconfitta comprendendo la superiorità di un team sull'altro, rendersi conto, vedendo festeggiare Zen, Kobe, Fish, Pau, Lamar e compagnia bella, di essere ugualmente felici, e che in fondo è bello riuscire a dare credito ad ogni impresa sportiva di si può essere testimoni, pur avendola seguita dal divano di casa, anche ad una squadra che risulti, in condizioni normali, antipatica. Non importa quanto si possa provare a detestare una squadra americana, o almeno per chi vi scrive funziona così, alla fine la conclusione è sempre la stessa, e si riesce a provare piacere per chiunque si veda recapitare, al triplo zero del cronometro della gara decisiva, maglietta e cappellino che testimoniano l'avvenuta vittoria del trofeo più importante.
Per il resto restate sintonizzati, in fondo non manca poi così tanto alla fine di ottobre.
1 commento:
Ottimo Dave, su Kobe non mi dilungo, ma sono strafelice che finalmente abbia vinto questo (quarto, ma per come dici tu, per certi versi, primo) titolo NBA. Altro motivo di gaudio per me è stato vedere Odom finalmente tanto "bello" quanto vincente...è un giocatore che ho sempre adorato, anche quando lo criticavano un pò tutti e lo davano per finito...bene così, l' anno prossimo vincerà lebron ;-) :fischia: :c'èsempreunannoprossimo:
Posta un commento