sabato 22 dicembre 2007

Il dovere di schierarsi e l'alito del vicino.

Il tifo contro non è mai simpatico. Mi hanno insegnato sin da bambino che prima vengono i “miei” colori e che, in ogni caso, le disgrazie altrui non sono appaganti come le nostre vittorie. Non è vero che me lo hanno insegnato, io non ho studiato a Penn State agli ordini di Joe Paterno, non ho appreso la cultura sportiva da grandi maestri, ho semplicemente metabolizzato questa filosofia tifando sempre per perdenti mai visti prima e squadre che per decenni non riuscivano a mettere in piedi un progetto non dico vincente, ma almeno credibile. Arrivato al punto in cui una sconfitta avversaria non dimezzava nemmeno le le pedate nel culo che ogni anno mi spettavano per colpa dei miei idoli schierati su ogni fronte bene, mi sono dato alla pura sportività e all'analisi più o meno obiettiva degli eventi che ripercorrono intere stagioni sportive, una su tutte quella del football americano.

E' però abbastanza scontato che se la vostra squadra esce dai giochi e non sospendono il campionato per qualsivoglia motivo, qualcun altro che non sia il vostro amato quarterback (o centravanti, o play, o alzatore... beh no, nessuno ama gli alzatori perché nessuno ama il volley, nemmeno Velasco il quale mi confidò tale segreto durante le visite militari dei “due giorni”) alzerà il trofeo. In questo caso vi restano due scelte: essere (eccessivamente) sportivi o schierarvi.

La logica dice che dovreste essere sportivi, in quanto se amate un squadra è perché, in primis, amate uno sport senza il quale non esisterebbe, appunto, la vostra squadra. Mentre non è vero il contrario... lo sport va avanti anche se spariscono le società sportive (beh, non possono sparire tutte eh...). La Nfl, ad esempio, è sopravvissuta alla sparizione di tante formazioni, così come il nostrano passatempo domenicale è uscito incolume da un campionato senza Juventus (che non sembrava nemmeno così male se non fosse stato per tutta quella B che passava ogni giorno in televisione).

Comunque, se uno ama una disciplina, è giusto che si goda i playoff (sì, parliamo di Nfl ora, chissenfrega del resto in dicembre?) in modo neutrale e sportivo e che riconosca i meriti e gli onori ai vincitori i quali, comunque vogliate rovesciare il tabellino delle statistiche, passeranno alla storia come i più forti. Fosse anche per un anno, una stagione, un mese o una notte, la coppetta se la portano a casa loro mentre gli altri cercano un appiglio a cui aggrapparsi per spiegare la debacle.

E' un po' come guardare la finale dei 100 metri: uno tifa in primo luogo per un atleta della propria nazione (ed essendo noi italiani possiamo anche scordarci una cosa del genere fin quando Balotelli – che è l'anagramma di Altobelli - o Matteo Ferrari non cominceranno a sfornare qualche figlio in più), poi per il record del mondo, che è la cosa che ti sballa più di tutte in una finale olimpica, diciamocelo. E' chiaro che se a vincere col record è uno che ti è simpatico quanto Carl Lewis (cioè poco), allora magari ci resti male. E allora, se devo restarci male, perché mai dovrei tifare per lo sport? Perché dovrei mettermi lì, sul divano, o seduto su una tribuna, a sbadigliare in attesa che l'evento mi dica chi tra le due compagini è stata la più forte? Vero, dobbiamo essere capaci di riconoscere i meriti dell'avversario, dobbiamo imparare a perdere perché solo così gusteremo appieno le vittorie quando arriveranno (perché in cuor suo, ogni tifoso, sa che arriveranno), ma il primo punto è: dobbiamo essere tifosi, abbiamo il dovere di schierarci. Questa è la competizione per noi sfigati che sul campo non possiamo starci o, semplicemente, non saremmo in grado di starci nemmeno come raccattapalle.

E se la nostra squadra è stata spedita fuori a calci in culo allora è un dovere morale tifarne un'altra e, magari, tifare contro i rivali di sempre. Perché il sale del tifo non sta nel farsi prendere per il culo dal vicino di casa che soffre di alitosi e che tiene il Milan e vince sempre, ma nello sperare che Istanbul non resti un caso isolato. Questa è la verità, questo è il motivo per cui siamo tifosi: quando non possiamo più arrivare primi la nostra speranza è che la più insignificante delle formazioni presenti in tabellone la spunti sulle altre e compia il miracolo. Almeno potrete giustificarvi con un bel “ha vinto la più debole, che bella favola di sport”.

E' stato così per gli europei di calcio vinti dalla Grecia, per l'Amburgo di Magath, il Montepaschi del secondo scudetto ( e chi dovevi tifare dai...), gli Heat di Wade e i Red Sox anti Yankees. E' così e basta. Ricordo che una sera un ragazzo egizionao mi disse che se una squadra del suo apese avesse perso una competizione continetale lui ne sarebbe stato rattristato. Io, ancora ubriaco del gol di Predrag Mijatović, risposi che in Egitto non c'è la Juve. Questa antipatia, questa inciviltà, si trasforma in base allo sport, ed è piuttosto evidente che, in un modo o nell'altro, il calci oriesca ad essere sempre più antipatico, indisciplinato e cafone di mille altri sport. Sarà Blatter, dirà qualcuno, ma se poi tu ci metti Matarrese a tirare le fila del nuovo corso di "calcio pulito"...

In ogni modo, c'è un concetto che va oltre lo sport ed è quello del tifo, mai cieco o bieco e violento, ma festoso, maleducato e provocatorio. Quel tifo che si può accettare anche quando si perde e che, come detto, non sembra rientrare nell'orbita dei calciofili, inspiegabilmente, tra l'altro. Fare il tifo, chiunque si scontri sul ring, ti aiuta a godere dello spettacolo, a entrare in sintonia, ti fa maledire un avversario che non è il tuo mentre ti appassioni agli idoli degli altri, li fai tuoi, te ne appropri pur di non vedere la faccia soddisfatta del tuo vicino di casa, quel cafone che puntualmente identifichi come tifoso dei Packers, dei Cowboys, della Virtus Bologna, dei Lakers, del Real Madrid, del Paris Saint Germain, del Tottenham, di Rafa Nadal, di Claudio Chiappucci, di Costantino Vitaliano (o Vitagliano, chissà...), di Gianni Morandi e Antonello Venditti. Che poi, al tuo vicino, mica gli parli, probabilmente puzza ed è certamente antipatico e quando c'è una partita alla tivvù non senti mai un rumore (segno che tiene una squadra vincente, gli interisti fanno sempre troppo casino, ci avete fatto caso?).

E che non provi a dire, incontrandoti in ascensore, che non fa il tifo per nessuno, che non segue gli sport, sono tutti così: dei bugiardi patentati che si fingono modesti e inconsapevoli di ciò che gli accade intorno che non sia politico, religioso, culturale o cardiovascolare.

Lo avete visto bene, in faccia, sogghignare soddisfatto mentre la mattina usciva di casa e voi recuperavate energie ormai perse per sempre, tutte bruciate una birra dopo l'altra urlando e dannandovi contro il nemico. Succede tutte le volte: dopo il 5 maggio, dopo il Three-peat dei Lakers, le vittorie degli Yankees, il Super Bowl dei Colts di Manning (soprattutto dopo questo, è uscito di casa con in mano un ferro di cavallo l'infame), la finale dello slam parigino e chi più ne ha più ne metta. Sì, il vostro vicino tifa contro di voi, per questo dovete schierarvi, perché se siete felici voi lui è per forza incazzato e la giornata lavorativa vi sembrerà meno schifosa (bella no, per quello deve vincere Chicago). Gli psicologi e criminologi affermano che ognuno di noi è, potenzialmente, un assassino; basta avere, banalizzo, i famosi “cinque minuti”. Io vi dico che tutti, potenzialmente, siete hooligans, chi più moderato, chi più caotico, ma dentro di voi covate invidia e odio sportivo e non volete che il vostro vicino, quello con l'alitosi, goda più di voi. Se parliamo di vicine, invece, la cosa cambia, ma questo è un altro discorso. Lui è il nemico, perché dietro a una realtà plastificata di menefreghista sapete benissimo che il tizio in questione tifa, e tiferà sempre, contro di voi.

Schierandovi per una squadra avrete sempre buoni motivi per agire in qualsiasi modo: ubriacarvi, con la scusa che comunque un Super Bowl è un Super Bowl e per qualcuno bisogna tifare. Urlare e fare casino, per lo stesso motivo di cui sopra. Picchiare il vostro insulso vicino perché, che si vinca o che si perda, lui puzza, vota George W. Bush (ok, non lo fa, ma solo perché non è americano, se no lo farebbe) e adora Gianni Morandi.

Siamo hooligans, ma sportivi, ci incazziamo, ma digeriamo ogni cosa. E' che a noi del terzo tempo frega fino a un certo punto; abituati a ragionare prima in quarti e poi in tempi, amiamo concederci anche il primo ed il secondo, per via di una normale evoluzione delle cose e, soprattutto, perché i numeri si mettono in fila così, non è che possiamo discuterne. Primo, secondo e terzo. E magari anche quarto, abbracciando il vostro amico che anche se tifa per la squadra più odiosa del pianeta è sempre un vostro amico. Non come il vostro vicino, che puzza, il vostro amico è un tifoso come voi, con i suoi sentimenti che voi condividete e capite alla perfezione. Voi sapete cosa si prova a vedere il vostro cazzutissimo runningback perdere palla su una traccia dritta e forte tra guardia e tackle di destra sulle tre yard avversarie, eccome se lo sapete. E non avete necessità che Matarrese, o chi per lui, vi obblighi con una regoluccia ridicola, a stringere la mano all'avversario, anche se gli puzza il fiato. Il vicino è il nemico perché vi obbliga a pensare male del modno, ma è fondamentale affinché voi apprezziate ogni singolo minuto di una stagione sportiva, schierandovi, tifando, arrabbiandovi. L'avversario, però, è il valore più alto di una rivalità, di una partita, di uno scontro. E' tutto quello per cui voi amate la vostra squadra, come gli adesivi "Beat Army" nelle cemerette dei cadetti di Annapolis. Ci vogliamo bene, tra noi pazzi, e affrontiamo il quarto tempo senza problemi, dandoci la mano e sorseggiando Guinness alla George Best (simbolo di un soccer da amare), senza che Matarrese o Platini ci mettano becco.

Tifosi pazzi sì, incivili da Serie A, per fortuna, ancora no.


PS: Dalla prossima volta, però, parliamo di sport.

2 commenti:

azazel ha detto...

Fantastico china!!
Ci vogliamo bene, tra noi pazzo, e affrontiamo il quarto tempo senza problemi, dandoci la mano e sorseggiando Guinness alla George Best (simbolo di un soccer da amare), senza che Matarrese o Platini ci mettano becco.
:notwhorty:

Anonimo ha detto...

Grande china. E' sempre un piacere leggere i tuoi "deliri".